11 Settembre 2001, per non dimenticare.

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TerryTerry
view post Posted on 10/9/2010, 23:30     +1   -1




Schianto del primo aereo



Schianto del secondo aereo


Dinamica dell' attentato






Terzo aereo sul Pentagono

 
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TerryTerry
view post Posted on 11/9/2010, 00:06     +1   -1




Attentati dell'11 settembre 2001

Gli attentati dell'11 settembre 2001 sono stati quattro attacchi suicidi da parte di terroristi di al-Qa'ida contro obiettivi civili e militari nel territorio degli Stati Uniti d'America.

La mattina dell'11 settembre 2001, 19 affiliati all'organizzazione terroristica di matrice islamica al-Qa'ida dirottarono quattro voli civili commerciali.[1][2] I dirottatori fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri 1 e 2 del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea fu fatto schiantare dai dirottatori contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington,[3] si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell'equipaggio ebbero tentato di riprendere il controllo del velivolo. Oltre ai 19 dirottatori, vi furono 2974 vittime come conseguenza immediata degli attacchi, mentre i dispersi furono 24. La gran parte delle vittime erano civili, appartenenti a 90 diverse nazionalità.

Gli attacchi ebbero grandi conseguenze a livello mondiale: gli Stati Uniti d'America risposero dichiarando la "Guerra al terrorismo" e lanciando una invasione nell'Afghanistan controllato dai Talebani, accusati di aver volontariamente ospitato i terroristi. Il parlamento statunitense fece passare lo USA PATRIOT Act mentre altre nazioni rafforzarono la loro legislazione anti-terroristica, incrementando i poteri di polizia. Le borse rimasero chiuse per quasi una settimana, registrando enormi perdite subito dopo la riapertura, con quelle maggiori fatte registrare dalle compagnie aeree e di assicurazioni. L'economia della Lower Manhattan si fermò per via della distruzione di uffici del valore di miliardi di dollari.

I danni subiti dal Pentagono furono riparati dopo un anno, e un piccolo monumento commemorativo fu costruito sul luogo. La ricostruzione del World Trade Center è invece stata più problematica, a seguito di controversie sorte riguardo i possibili progetti e sui tempi necessari al loro completamento. La scelta della Freedom Tower per la ricostruzione del sito ha subito ampie critiche, conducendo all'abbandono di alcune parti del progetto originario.

Attacchi

Il mattino dell'11 settembre 2001, diciannove terroristi dirottarono quattro aerei di linea passeggeri in viaggio verso la California dagli aeroporti Logan (di Boston), Washington Dulles (di Dulles, ma utilizzato per voli da Washington) e Newark (in New Jersey ma che serve anche New York).[1] I dirottatori condussero due aeroplani, il volo American Airlines 11 e il volo United Airlines 175, a schiantarsi contro le Torri nord e sud del World Trade Center.[4] Un altro gruppo di dirottatori condusse il volo American Airlines 77 a schiantarsi contro il Pentagono, mentre un quarto volo, lo United Airlines 93, col quale i terroristi intendevano colpire il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington,[3] precipitò al suolo nei pressi di Shanksville, in Pennsylvania.[5][6]

Nel corso del dirottamento, alcuni passeggeri e membri dell'equipaggio furono in grado di effettuare chiamate con l'apparecchio radiotelefonico aria-superficie della GTE e con i telefoni cellulari;[7][8] affermarono che diversi dirottatori erano a bordo di ciascun aeroplano e che i terroristi avevano preso il controllo dei velivoli usando coltelli e taglierini per uccidere alcuni assistenti di volo e almeno un pilota o un passeggero, tra cui il comandante del volo 11, John Ogonowski;[9] la Commissione d'indagine sugli attentati dell'11 settembre 2001 stabilì che due dei dirottatori avevano recentemente acquistato attrezzi multifunzione di marca Leatherman.[10] Qualche tipo di spray nocivo, come gas lacrimogeno o spray al peperoncino, sarebbe stato utilizzato sui voli American 11 e United 175 per tenere i passeggeri fuori dalla cabina di prima classe.[11] Un assistente di volo dell'American Airlines 11, un passeggero del volo 175 e alcuni passeggeri del volo 93 riferirono che i dirottatori avevano delle bombe, ma uno dei passeggeri disse anche di ritenere che si trattasse di ordigni inerti. Nessuna traccia di esplosivi fu trovata sui luoghi degli impatti. Il Rapporto della Commissione sull'11 settembre afferma che le bombe erano probabilmente false.[9]

Sul volo United Airlines 93 le registrazioni della scatola nera hanno rivelato che l'equipaggio e i passeggeri tentarono di sottrarre il controllo dell'aereo ai dirottatori dopo aver saputo, per via telefonica, che altri aerei dirottati erano stati mandati a schiantare contro degli edifici, quella mattina.[12][13] Secondo la trascrizione della registrazione, uno dei dirottatori diede l'ordine di virare il velivolo quando fu chiaro che ne avrebbero perso il controllo a causa dei passeggeri.[14] Poco dopo, l'aeroplano si schiantò in un campo vicino Stonycreek, nella contea di Somerset (Pennsylvania), alle ore 10:03:11 ora locale (14:03:11 UTC). In una intervista rilasciata al giornalista di al Jazeera Yosri Foda, Khalid Shaykh Muhammad, dirigente di al-Qā‘ida, affermò che l'obiettivo del volo 93 era il Campidoglio di Washington, il cui nome in codice era «la facoltà di Legge».[15]

Tre edifici del complesso del World Trade Center collassarono a causa di danni strutturali, quel giorno.[16] La torre meridionale (denominata WTC 2) crollò alle 9:59 circa, dopo un incendio di 56 minuti causato dall'impatto del volo United Airlines 175; la torre settentrionale (WTC 1) collassò alle 10:28, dopo un incendio di circa 102 minuti.[16] La caduta di WTC 1 produsse dei detriti che danneggiarono la vicina 7 World Trade Center (WTC 7), la cui integrità strutturale fu ulteriormente compromessa dagli incendi, che portarono al crollo della penthouse est alle 17:20 ora locale di quello stesso giorno; l'intero edificio collassò completamente alle 17:21 ora locale.[17]
Il National Institute of Standards and Technology promosse delle investigazioni sulle cause del collasso dei tre edifici, successivamente allargando le indagini sulle misure per la prevenzione del collasso progressivo, chiedendosi ad esempio se la progettazione aveva previsto la resistenza agli incendi e se era stato effettuato un rafforzamento delle strutture in acciaio. Il rapporto riguardo WTC 1 e WTC 2 fu terminato nell'ottobre 2005, mentre l'indagine sul WTC 7 è stata pubblicata il 21 agosto 2008: il crollo dell'edificio è stato causato dalla dilatazione termica, prodotta dagli incendi incontrollati per ore, dell'acciaio della colonna primaria, la numero 79, il cui cedimento ha dato inizio ad un collasso progressivo delle strutture portanti vicine.[18]

Gli attacchi crearono grande confusione tra le agenzie di notizie e i controllori del traffico aereo in tutti gli Stati Uniti; a tutto il traffico aereo civile internazionale fu proibito di atterrare su terreno statunitense per tre giorni.[19] Gli aerei già in volo furono respinti o indirizzati agli aeroporti in Canada o Messico. Radio e televisioni diffusero notizie non confermate e spesso contraddittorie per tutto il giorno; una delle ricostruzioni più diffuse raccontava di una autobomba esplosa nella Segreteria di Stato degli Stati Uniti a Washington.[20]

Poco dopo aver annunciato per la prima volta l'incidente del Pentagono, la CNN e altre emittenti raccontarono anche che un incendio era scoppiato al National Mall di Washington.[21] Un altro rapporto fu lanciato dalla Associated Press, secondo il quale un Boeing 767 della Delta Air Lines, il volo 1989, era stato dirottato: anche questa notizia si rivelò poi un errore, in quanto si era effettivamente pensato che vi fosse quel pericolo, ma l'aereo rispose ai comandi dei controllori di volo e atterrò a Cleveland, Ohio.[22]

Vittime

Le vittime degli attentati furono 2974, esclusi i diciannove dirottatori: 246 su quattro aeroplani (88 sul volo American Airlines 11,[23] 59 sul volo United Airlines 175[24], 59 sull'American Airlines 77[25] e 40 sul volo United 93[26]; non ci fu alcun superstite), 2603 a New York e 125 al Pentagono.[27][28] Altre 24 persone sono ancora elencate tra i dispersi.[29] Tutte le vittime erano civili a parte 55 militari uccisi al Pentagono.[30] Furono più di 90 i paesi che persero cittadini negli attacchi al World Trade Center.[31]

Il NIST ha stimato che circa 17.400 civili erano presenti nel complesso del World Trade Center al momento degli attacchi, mentre i dati sui turisti elaborati dalla Port Authority of New York and New Jersey (l'"Autorità portuale di New York e del New Jersey") suggeriscono una presenza media di 14.154 persone sulle Torri Gemelle alle 8:45 del mattino.[32][33] La gran parte delle persone al di sotto delle zone di impatto evacuarono in sicurezza gli edifici, come pure 18 persone che si trovavano nella zona di impatto della torre meridionale;[34] Al contrario, 1366 delle vittime si trovavano nella zona di impatto o nei piani superiori della torre settentrionale;[35] secondo il Rapporto della Commissione, centinaia furono le vittime causate dall'impatto, mentre le restanti rimasero intrappolate e morirono a seguito del collasso della torre.[36] Quasi 600 persone furono invece uccise dall'impatto o morirono intrappolate ai piani superiori nella torre meridionale.[35]

Almeno 200 persone saltarono dalle torri in fiamme e morirono, come raffigurato nella emblematica foto The Falling Man ("L'uomo che cade"), precipitando su strade e tetti degli edifici vicini a centinaia di metri più in basso.[37] Alcune persone che si trovavano nelle torri al di sopra dei punti di impatto salirono fino ai tetti degli edifici sperando di essere salvati dagli elicotteri, ma le porte di accesso ai tetti erano chiuse; inoltre, non vi era alcun piano di salvataggio con elicotteri e, quella mattina dell'11 settembre, il fumo denso e l'elevato calore degli incendi avrebbe impedito agli elicotteri di effettuare manovre di soccorso.[38]

Le vittime tra i soccorritori furono 411. Il New York City Fire Department (i vigili del fuoco di New York) perse 341 vigili del fuoco e 2 paramedici;[39] il New York City Police Department (la polizia di New York) perse 23 agenti,[40] il Port Authority Police Department (la polizia portuale) 37.[41] I servizi di emergenza medica privata persero altri 8 tecnici e paramedici.[42][43]

La Cantor Fitzgerald L.P., una banca di investimenti i cui uffici si trovavano ai piani 101–105 del WTC 1, perse 658 impiegati, più di qualunque altra azienda.[44] La Marsh Inc., i cui uffici si trovavano immediatamente sotto quelli della Cantor Fitzgerald ai piani 93–101 (dove avvenne l'impatto del volo 11), perse 295 impiegati, mentre 175 furono le vittime tra i dipendenti della Aon Corporation.[45] Dopo New York, lo stato che ebbe più vittime fu il New Jersey, con la città di Hoboken a registrare il maggior numero di morti.[46]

È stato possibile identificare i resti di sole 1600 delle vittime del World Trade Center; gli uffici medici raccolsero anche «circa 10.000 frammenti di ossa e tessuti non identificati, che non possono essere collegati alla lista dei decessi».[47] Altri resti di ossa furono trovati ancora nel 2006, mentre gli operai approntavano il Deutsche Bank Building per la demolizione.

La morte per malattie ai polmoni di alcune altre persone è stata fatta risalire alla respirazione delle polveri contenenti centinaia di composti tossici (quali amianto, mercurio, piombo, ecc.) causate dal collasso del World Trade Center. La gravità dell'inquinamento ambientale derivante da tali polveri - che investirono tutta la punta sud dell'isola di Manhattan - fu resa nota al grande pubblico solo a distanza di circa quattro anni dall'evento: sino ad allora le agenzie governative statunitensi avevano sottovalutato o nascosto il rischio ambientale, forse allo scopo di non causare ulteriore panico e di rendere più spediti i soccorsi, lo sgombero delle macerie, il ripristino delle normali attività della città così gravemente ferita[48][49][50].

Danni

Oltre alle Torri gemelle, i due grattacieli da 110 piani, numerosi altri edifici del World Trade Center furono distrutti o gravemente danneggiati, inclusi il 7 World Trade Center, il 6 World Trade Center, il 5 World Trade Center, il 4 World Trade Center, il Marriott World Trade Center e la chiesa greco ortodossa di St Nicholas.[51] Il Deutsche Bank Building, situato al di là della Liberty Street rispetto al complesso del World Trade Center, è attualmente in demolizione, in quanto l'ambiente all'interno dell'edificio è tossico e inabitabile.[52][53] La Fiterman Hall del Borough of Manhattan Community College, situato al 30 West Broadway, ricevette gravi ed estesi danni durante gli attacchi e la sua demolizione è stata programmata.[54] Altri edifici limitrofi, come il 90 West Street e il Verizon Building, subirono gravi danni, ma sono stati riparati.[55] Gli edifici del World Financial Center, la One Liberty Plaza, il Millenium Hilton, e 90 Church Street riportarono danni moderati.[56] Anche gli impianti di telecomunicazioni situati sulla torre settentrionale andarono distrutti, incluse le antenne di trasmissione radio e televisive e i ponti radio, ma le stazioni degli organi di informazioni re-instradarono rapidamente i segnali e ripresero le trasmissioni.[51][57]

Nella contea di Arlington, una porzione del Pentagono fu gravemente danneggiata dall'impatto e dal successivo incendio, e una sezione dell'edificio crollò.[58]

Operazioni di salvataggio e soccorso

Successivamente agli attacchi alle Torri gemelle, il New York City Fire Department inviò rapidamente sul sito 200 unità, pari a metà dell'organico del dipartimento, che furono aiutati da numerosi pompieri fuori-servizio e da personale dei pronto soccorso.[59][60][61] Il New York City Police Department inviò delle unità speciali dette "Emergency Service Units" e altro personale.[62] Durante i soccorsi, i comandanti dei vigili del fuoco, della polizia e dell'Autorità portuale ebbero difficoltà a condividere le informazioni e a coordinare i loro sforzi,[59] tanto che vi furono duplicazioni nelle ricerche dei civili dispersi invece che ricerche coordinate.[63]

Con la situazione che peggiorava, il dipartimento di polizia, che riceveva informazioni degli elicotteri in volo, fu in grado di diffondere l'ordine di evacuazione che permise a molti dei suoi agenti di allontanarsi prima del crollo degli edifici;[62][63] tuttavia, poiché i sistemi di comunicazione radio dei dipartimenti di polizia e di vigili del fuoco erano incompatibili, questa informazione non fu inoltrata ai comandi dei vigili del fuoco. Dopo il collasso della prima torre, i comandanti dei vigili del fuoco trovarono difficoltà a inviare gli ordini di evacuazione ai pompieri all'interno della torre, a causa del malfunzionamento dei sistemi di trasmissione all'interno del World Trade Center. Persino le chiamate al 911 (il servizio di emergenza) non furono correttamente inoltrate.[60] Una enorme operazione di ricerca e salvataggio fu lanciata dopo poche ore dagli attacchi; le operazioni cessarono alcuni mesi dopo.[64]

Attentatori e loro moventi

Gli attacchi dell'11 settembre sono il risultato degli obiettivi dichiarati da al-Qa'ida, così come furono formulati nella fatwa[65] emessa da Osama bin Laden, Ayman al-Zawahiri, Abū Yāsir Rifāʿī Ahmad Tāhā, Mir Hamzah, e Fazlur Rahman, la quale dichiarava che fosse «dovere di ogni musulmano [...] uccidere gli americani in qualunque luogo».[66][67][68]

Al-Qa'ida
L'origine di al-Qa'ida risale al 1979, anno dell'invasione sovietica dell'Afghanistan; poco dopo l'invasione, Osama bin Laden si recò in Afghanistan per collaborare con l'organizzazione dei mujaheddin arabi e alla formazione di Maktab al-Khidamat, una formazione il cui scopo era quello di raccogliere fondi e assoldare mujaheddin stranieri per resistere all'Unione Sovietica. Nel 1989, con il ritiro delle forze sovietiche dal conflitto afghano, il Maktab al-Khidamat si trasformò in una "forza di intervento rapido" del jihad contro i governi del mondo islamico.

Sotto la guida di Ayman al-Zawahiri, bin Laden assunse posizioni più radicali.[69] Nel 1996, bin Laden promulgò la prima fatwa, con la quale intendeva allontanare i soldati statunitensi dall'Arabia Saudita.[70] In una seconda fatwa promulgata nel 1998, bin Laden avanzò obiezioni sulla politica estera statunitense nei riguardi di Israele, come pure sulla presenza di truppe statunitensi in Arabia Saudita anche dopo la fine della guerra del Golfo.[71] Bin Laden ha citato testi dell'Islam per esortare ad azioni di forza contro soldati e civili statunitensi fin quando i problemi sollevati non saranno risolti, notando che «durante tutta la storia dei popoli islamici, gli ulema hanno unanimemente affermato che il jihad è un dovere individuale se il nemico devasta i paesi musulmani».[71]

Organizzazione degli attacchi

L'idea degli attacchi dell'11 settembre fu formulata da Khalid Shaykh Muhammad, che per primo la presentò a Osama bin Laden nel 1996.[72] In quel momento bin Laden e al-Qa'ida vivevano un periodo di transizione, in quanto erano appena tornati in Afghanistan dal Sudan.[73] Gli attentati alle ambasciate statunitensi del 1998 segnarono un punto di svolta, in quanto con essi bin Laden attaccava direttamente gli Stati Uniti.[73] Alla fine del 1998 o all'inizio del 1999, bin Laden diede il proprio consenso a Mohammed per l'organizzazione dell'attentato.[73] Una serie di incontri ebbero luogo nella primavera del 1999 tra Khalid Shaykh Muhammad, bin Laden e il suo rappresentante Mohammed Atef: bin Laden approvò la scelta dei capi dell'azione e garantì il sostegno finanziario;[73] fu anche coinvolto nella scelta dei partecipanti all'attacco, tanto che fu lui a scegliere Mohamed Atta come il capo dei dirottatori.[74] Mohammed fornì il supporto operazionale, selezionando gli obiettivi e organizzando i viaggi per dirottatori[73] (quasi 27 membri di al-Qa'ida tentarono di entrare negli Stati Uniti d'America per prendere parte agli attacchi dell'11 settembre);[9] bin Laden modificò alcune decisioni di Mohammed, respingendo alcuni potenziali obiettivi come la U.S. Bank Tower di Los Angeles.[75]

La National Commission on Terrorist Attacks upon the United States ("Commissione nazionale sugli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti") fu formata dal governo degli Stati Uniti ed è comunemente nota come 9/11 Commission; il 22 luglio 2004 la commissione rilasciò un rapporto nel quale concludeva che gli attacchi erano stati progettati e messi in atto da membri di al-Qa'ida. La commissione affermò che «gli organizzatori dell'attentato dell'11 settembre spesero in totale tra 400.000 e 500.000 dollari per progettare e mettere in atto il loro attacco, ma che la precisa origine dei fondi utilizzati per eseguire gli attacchi è rimasta sconosciuta».[76]

Dirottatori
Quindici dirottatori provenivano dall'Arabia Saudita, due dagli Emirati Arabi Uniti, uno dall'Egitto e uno dal Libano.[77] In contrasto con il consueto profilo degli attentatori suicidi, i dirottatori erano adulti maturi e ben istruiti, le cui visioni del mondo erano ben formate.[78] Dopo alcune ore dagli attacchi, l'FBI fu in grado di determinare i nomi e, in molti casi, i dettagli personali dei sospetti piloti e dirottatori.[79][80] Il bagaglio di Mohamed Atta, che non fu trasbordato dal suo volo da Portland sul volo 11, conteneva documenti che rivelarono l'identità di tutti i 19 dirottatori e altri importanti indizi sui loro piani, sulle loro intenzioni e sui loro precedenti.[81] Il giorno degli attacchi, la National Security Agency intercettò delle comunicazioni che portavano a Osama bin Laden, come avevano fatto i servizi segreti tedeschi.[82][83]

Il 27 settembre 2001, l'FBI rese pubbliche le foto dei 19 dirottatori, assieme alle informazioni sulle possibili nazionalità e nomi falsi di molti.[84] Le indagini dell'FBI sugli attacchi, l'operazione "PENTTBOM", furono le più vaste e complesse nella storia dell'FBI, coinvolgendo più di 7000 agenti speciali.[85] Il governo degli Stati Uniti determinò che al-Qa'ida, diretta da Osama bin Laden, era responsabile per gli attacchi, con l'FBI che afferma che «le prove che mettono in relazione al-Qa'ida e bin Laden agli attacchi dell'11 settembre sono chiare e irrefutabili»;[86] Il governo del Regno Unito raggiunse la stessa conclusione.[87]

La dichiarazione di una guerra santa contro gli Stati Uniti d'America e la fatwa firmata da Osama bin Laden e altri nel 1996, in cui si chiedeva l'uccisione di civili statunitensi, sono viste come indizi del suo movente negli attacchi dell'11 settembre da parte degli investigatori.[88] Inizialmente bin Laden negò il proprio coinvolgimento negli attacchi, per poi ammetterlo.[89][90] Il 16 settembre 2001, bin Laden negò ogni coinvolgimento negli attacchi leggendo una dichiarazione trasmessa dal canale satellitare del Qatar Al Jazeera: «Sottolineo che non ho attuato questo gesto, che sembra essere stato portato avanti da individui con motivazioni proprie»;[91] questa smentita fu trasmessa dalle testate giornalistiche statunitensi e mondiali. Nel novembre 2001 forze statunitensi recuperarono una registrazione in una casa distrutta a Jalalabad, in Afghanistan, in cui bin Laden parla a Khaled al-Harbi: nella videoregistrazione bin Laden ammette di aver saputo in anticipo degli attacchi.[92] La registrazione fu trasmessa da varie emittenti giornalistiche a partire dal 13 dicembre 2001; la distorsione delle immagini è stata attribuita ad artefatti causati dalla copia del nastro.[93] Il 27 dicembre 2001 fu pubblicato un secondo video di bin Laden, in cui affermava che «il terrorismo contro gli Stati Uniti merita di essere lodato perché fu una risposta ad una ingiustizia, avente lo scopo di forzare gli Stati Uniti a interrompere il suo sostegno ad Israele, che uccide la nostra gente», senza però ammettere la responsabilità degli attacchi.[94] Poco prima delle elezioni presidenziali statunitensi del 2004, bin Laden rivendicò pubblicamente con una registrazione video il coinvolgimento di al-Qa'ida negli attacchi agli Stati Uniti, ammettendo il proprio legame diretto con gli attentati; affermò che gli attacchi erano stati portati perché «siamo liberi [...] e vogliamo riottenere libertà per la nostra nazione. Così come voi indebolite la nostra sicurezza noi indeboliamo la vostra».[95] Osama bin Laden afferma di aver personalmente diretto i 19 dirottatori:[96] nel video afferma che «concordammo assieme al comandante Muhammad Atta, che Allah abbia pietà di lui, che tutte le operazioni avrebbero dovuto essere completate in 20 minuti, prima che Bush e la sua amministrazione se ne accorgessero».[90] Un altro video ottenuto da Al Jazeera nel settembre 2006 mostra Osama bin Laden con Ramzi Binalshibh e due dirottatori, Hamza al-Ghamdi e Wail al-Shehri, mentre preparano gli attacchi.[97]
In una intervista del 2002 con il giornalista di al Jazeera Yosri Foda, Khalid Shaykh Muhammad ammise il proprio coinvolgimento nella "operazione del santo Martedì", assieme a Ramzi Binalshibh.[98] Il Rapporto della Commissione sull'11 settembre ha determinato che l'animosità di Khalid Shaykh Mohammed, il «principale architetto» degli attacchi dell'11 settembre, verso gli Stati Uniti ebbe origine «non dalla sua esperienza di studente fatta lì, ma piuttosto dalla sua violenta opposizione alla politica estera statunitense in favore di Israele».[73] Mohammed Atta condivideva le stesse motivazioni di Khalid Shaykh Muhammad. Ralph Bodenstein, un ex-compagno di classe di Atta, lo descrisse come «molto imbevuto, veramente, [di idee] sulla difesa, da parte degli Stati Uniti, di queste politiche israeliane nella regione».[99] Abd al-Aziz al-Umari, dirottatore del volo 11 assieme a Mohamed Atta, affermò nel suo testamento video: «il mio gesto è un messaggio per coloro che mi hanno ascoltato e per coloro che mi hanno visto e, allo stesso tempo, è un messaggio agli infedeli, che lasciate la penisola arabica sconfitti e che smettiate di dare una mano ai codardi ebrei in Palestina».[100] Khalid Shaykh Muhammad fu arrestato il 1º marzo 2003 a Rawalpindi, in Pakistan,[101] per poi essere detenuto definitivamente nel campo di detenzione di Guantanamo Bay, a Cuba. Durante le udienze condotte dagli Stati Uniti nel marzo 2007, che sono state «ampiamente criticate da avvocati e gruppi per i diritti umani in quanto tribunali falsi»,[102] Muhammad confessò nuovamente la propria responsabilità per gli attacchi: «ero il responsabile dell'operazione dell'11 settembre, dalla A alla Z».[102][103]

Nel "Sostituto di testimonianza di Khalid Shaykh Muhammad" del processo a Zakariya Musawi, cinque persone sono identificate come quelle che conoscevano tutti i dettagli dell'operazione: Osama bin Laden, Khalid Shaykh Muhammad, Ramzi Binalshibh, Abu Turab al-Urdunni e Mohammed Atef.[104] Fino al 2008, solo le figure di contorno sono state processate o condannate in relazione agli attacchi; bin Laden non è stato ancora formalmente accusato degli attentati.[105] Il 26 settembre 2005, la Audiencia Nacional de España (la corte nazionale spagnola), diretta dal giudice Baltasar Garzón, condannò Abu Dahdah a 27 anni di prigione per cospirazione riguardo gli attentati dell'11 settembre e in qualità di membro dell'organizzazione terrorisitica al-Qa'ida. Allo stesso tempo, altri 17 membri di al-Qa'ida ricevettero condanne tra i sei e gli undici anni.[106][107] Il 16 febbraio 2006, la corte suprema spagnola ridusse la pena di Abu Dahdah a 12 anni, in quanto considerò non provata la sua partecipazione alla cospirazione.[108]

Moventi

Molte conclusioni della commissione dell'11 settembre sui moventi degli attacchi sono state condivise da altri esperti. L'esperto di anti-terrorismo Richard Clarke ha spiegato, nel suo libro Against All Enemies, che le scelte di politica estera degli Stati Uniti, inclusi «il confronto con Mosca in Afghanistan, l'invio delle forze armate statunitensi nel Golfo persico» e «il rafforzamento di Israele come base per un fianco meridionale contro i sovietici», contribuirono a formare le motivazioni di al-Qa'ida.[109] Altri, come il corrispondente dall'estero dell'"Observer Jason Burke, sottolineano l'aspetto politico dei moventi, affermando che «bin Laden è un attivista con un'idea molto chiara di ciò che vuole e di come spera di ottenerlo. Questi mezzi possono essere molto distanti dalla normale attività politica [...] ma la sua agenda è fondamentalmente politica».[110]

Molti studi si sono concentrati anche sull'insieme della strategia di bin Laden per individuare il movente degli attentati. Per esempio, il corrispondente Peter Bergen afferma che gli attacchi erano parte di un piano volto a far incrementare la presenza militare e culturale degli Stati Uniti nel Vicino Oriente, forzando in questo modo i musulmani a confrontarsi con le "malefatte" di un governo non-musulmano e a stabilire governi islamici conservatori nella regione.[111] Michael Scott Doran, corrispondente di Foreign Affairs, enfatizza l'uso "mitico" del termine "spettacolare" nella risposta di bin Laden agli attacchi, spiegando che si trattava di un tentativo di provocare una reazione viscerale nel Vicino Oriente e di assicurarsi che i cittadini musulmani reagissero il più violentemente possibile a un aumento dell'impegno statunitense nella regione.[112]

Conseguenze-Risposta degli Stati Uniti e Guerra al terrorismo


Gli attacchi dell'11 settembre ebbero un immediato e travolgente effetto sulla popolazione degli Stati Uniti. Molti agenti di polizia e soccorritori di altre parti del paese presero dei permessi dal lavoro per recarsi a New York ad assistere i propri colleghi nel recupero dei corpi dalle macerie delle Torri gemelle.[113] Le donazioni di sangue ebbero un incremento nella settimana successiva agli attacchi in tutti gli Stati Uniti.[114][115] Per la prima volta nella storia, tutti i velivoli civili degli Stati Uniti e di altri paesi (come il Canada), che non effettuavano servizi di emergenza, furono immediatamente fatti atterrare, recando grossi disagi a decine di migliaia di passeggeri in tutto il mondo.[116] La Federal Aviation Administration chiuse i cieli statunitensi a tutti i voli internazionali, obbligando gli aerei a dirigersi su aeroporti di altri paesi; il Canada fu uno dei paesi maggiormente toccati da questo fenomeno e lanciò l'Operation Yellow Ribbon per gestire l'enorme numero di aerei a terra e di passeggeri bloccati negli aeroporti.[117]

Il consiglio della Nato dichiarò che gli attacchi agli Stati Uniti erano considerati un attacco a tutti i paesi della Nato e che, in quanto tali, soddisfavano l'Articolo 5 del trattato NATO.[118] Subito dopo gli attacchi, l'amministrazione Bush dichiarò la "Guerra al terrorismo", con l'obiettivo dichiarato di portare Osama bin Laden e al-Qa'ida davanti alla giustizia e di prevenire la costituzione di altre reti terroristiche. I mezzi previsti per perseguire questi obiettivi includevano sanzioni economiche e interventi militari contro gli stati che avessero dato l'impressione di ospitare terroristi, aumenti dell'attività di sorveglianza su scala globale e condivisione delle informazioni ottenute dai servizi segreti. L'invasione statunitense dell'Afghanistan (2001) e il rovesciamento del governo dei Talebani da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti fu la seconda operazione della guerra effettuata al di fuori dei confini statunitensi in ordine di grandezza, la più vasta tra quelle direttamente collegate al terrorismo. Gli Stati Uniti non furono l'unica nazione ad aumentare la propria preparazione militare: stati come le Filippine e l'Indonesia dovevano infatti affrontare le minacce portate dal terrorismo islamista interno.[119][120] Subito dopo, alcuni esponenti dell'amministrazione statunitense specularono sul coinvolgimento di Saddam Hussein, il presidente iracheno, con al-Qa'ida.[121] Questi sospetti si rivelarono successivamente infondati, ma questa associazione contribuì a far accettare all'opinione pubblica l'invasione dell'Iraq del 2003.[121]

Reazioni dell'opinione pubblica statunitense

A seguito degli attacchi, l'indice di gradimento del presidente Bush salì fino all'86%.[122] Il 20 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti parlò alla nazione e ad una seduta congiunta del Congresso, esponendo gli eventi del giorno degli attacchi, i successivi nove giorni di sforzi di salvataggio e ricostruzione e la sua risposta agli eventi. Anche il sindaco di New York Rudolph Giuliani ottenne un notevole gradimento a livello locale e nazionale in virtù del ruolo svolto.[123] Molti fondi furono immediatamene aperti per assistere finanziariamente i sopravvissuti e le famiglie delle vittime degli attacchi; al termine ultimo per la compensazione delle vittime, l'11 settembre 2003, erano state ricevute 2833 richieste dalle famiglie delle vittime.[124] Subito dopo gli attacchi furono messi in atto i piani di emergenza per l'evacuazione dei governanti e per la continuità del governo (la serie di atti necessari a garantire la prosecuzione delle funzioni governative in caso di attacco nucleare o simile).[116] Il fatto che gli Stati Uniti fossero in una condizione di continuità del governo fu però comunicato al Congresso solo nel febbraio 2002.[125] Il Congresso passò l'Homeland Security Act del 2002, che istituì il Department of Homeland Security, la maggiore ristrutturazione dell'amministrazione statunitense nella storia contemporanea. Il congresso passò anche lo USA PATRIOT Act, affermando che sarebbe stato utile a individuare e perseguire il terrorismo e altri crimini; i gruppi per le libertà civili hanno però criticato il PATRIOT Act, affermando che permette agli organi di polizia di invadere la vita privata dei cittadini e che elimina il controllo da parte della magistratura della polizia e dai servizi segreti interni.[126][127][128] L'amministrazione Bush indicò gli attacchi dell'11 settembre per giustificare l'inizio di una operazione segreta della National Security Agency volta a «intercettare comunicazioni via telefono e e-mail tra gli Stati Uniti e persone all'estero senza mandato».[129]

Furono riportati numerosi incidenti di molestie e crimini d'odio contro mediorientali e persone "dall'aspetto mediorientale"; furono coinvolti particolarmente Sikh, in quanto gli uomini sikh vestono un turbante, elemento essenziale dello stereotipo del musulmano negli Stati Uniti. Vi furono abusi verbali, attacchi a moschee e altre costruzioni religiose (tra cui un tempio induista) e aggressioni, tra cui un omicidio: Balbir Singh Sodhi, un Sikh, fu ucciso il 15 settembre, dopo essere stato scambiato per un musulmano.[130] Le principali organizzazioni statunitensi di musulmani[131] furono immediate nella condanna degli attacchi e si appellarono affinché «i musulmani statunitensi si facciano avanti con le loro capacità e le loro risorse per aiutare ad alleviare le sofferenze delle persone coinvolte e delle loro famiglie». Oltre a notevoli donazioni di denaro, molte organizzazioni islamiche organizzarono raccolte di sangue e fornirono assistenza medica, cibo e alloggio alle vittime dell'attentato.[132] A seguito degli attacchi, 80.000 arabi e immigrati musulmani furono registrati e le loro impronte digitali schedate in base all'Alien Registration Act del 1940. Ottomila arabi e musulmani furono interrogati e cinquemila stranieri furono detenuti secondo la Joint Congressional Resolution 107-40, che autorizzava l'uso delle forze armate «per scoraggiare e prevenire atti di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti».[133]

Risposta internazionale

Gli attacchi furono condannati da governi di tutto il mondo, e molte nazioni offrirono aiuti e solidarietà.[134] I governanti della maggior parte dei paesi del Medio Oriente, incluso l'Afghanistan, condannarono gli attacchi. L'Iraq fece eccezione, in quanto diffuse immediatamente una dichiarazione in cui si affermava che «i cowboys americani stanno cogliendo il frutto dei loro crimini contro l'umanità».[135] Un'altra eccezione molto evidenziata dai mass media furono i festeggiamenti da parte di alcuni Palestinesi.[136] Circa un mese dopo gli attacchi, gli Stati Uniti d'America guidarono una vasta coalizione nell'invasione dell'Afghanistan, allo scopo di rovesciare il governo dei Talebani, accusati di ospitare al-Qa'ida.[137] Le autorità del Pakistan si schierarono nettamente al fianco degli Stati Uniti contro i Talebani e al-Qa'ida: i pakistani misero a disposizione degli Stati Uniti diversi aeroporti militari e basi per gli attacchi contro il governo talebano e arrestarono più di 600 presunti membri di al-Qa'ida, che poi cedettero agli statunitensi.[138] Diversi paesi - tra cui Regno Unito, India, Australia, Francia, Germania, Indonesia, Cina, Canada, Russia, Pakistan, Giordania, Mauritius, Uganda e Zimbabwe - promulgarono legislazioni "antiterroristiche" e congelarono i conti in banca di persone che sospettavano avessero legami con al-Qa'ida.[139][140] I servizi segreti e le forze di polizia di alcuni paesi - tra cui Italia, Malesia, Indonesia e Filippine - arrestarono persone che indicavano come sospetti terroristi con lo scopo dichiarato di distruggere le cellule terroristiche in tutto il mondo.[141][142]

Negli Stati Uniti questi fatti generarono alcune controversie; critici come il Bill of Rights Defense Committee affermarono che le tradizionali limitazioni sul potere di sorveglianza federale (come il controllo degli assembramenti pubblici del COINTELPRO) erano stati "smantellati" dallo USA PATRIOT Act.[143] Organizzazioni per le libertà civili come la American Civil Liberties Union e il gruppo di pressione Liberty affermarono che anche alcune protezioni dei diritti civili erano state aggirate.[144][145] Gli Stati Uniti aprirono un centro di detenzione a Guantanamo Bay, a Cuba, per detenervi quelli che definirono "combattenti nemici illegittimi". La legittimità di tali detenzioni è stata messa in discussione dall'Unione Europea, dall'Organizzazione degli Stati Americani e da Amnesty International, tra gli altri.[146][147][148]

Indagini-"9/11 Commission"

La Commissione d'indagine sugli attentati dell'11 settembre 2001, anche nota come "9/11 Commission" e diretta dall'ex-governatore del New Jersey Thomas Kean, fu istituita nel tardo 2002 per preparare una ricostruzione completa dei fatti riguardanti l'attacco, analizzando anche lo stato di preparazione e l'immediata reazione ad essi. Il 22 luglio 2004, la 9/11 Commission pubblicò il Rapporto della Commissione sull'11 settembre. La Commissione e il suo rapporto hanno ricevuto diverse critiche.[149][150]

Collasso del World Trade Center

Una indagine federale sulle caratteristiche tecniche e di resistenza agli incendi connesse con il collasso delle Torri gemelle e del WTC 7 fu condotta dal National Institute of Standards and Technology (NIST) dello United States Department of Commerce. Questa indagine aveva il compito di trovare il motivo del collasso degli edifici, il numero di morti e feriti causati, oltre che le procedure collegate alla progettazione e alla gestione del World Trade Center.[151]

Il rapporto concluse che il rivestimento anti-incendio delle infrastrutture in acciaio furono spazzate via dagli impatti degli aerei e che, se questo non fosse accaduto, le torri sarebbero probabilmente rimaste in piedi.[152]

Gene Corley, direttore dell'indagine originale, commentò che «le torri si comportarono in maniera impressionante. Non furono gli aerei dei terroristi ad abbattere gli edifici; fu l'incendio successivo. Fu dimostrato che era possibile abbattere due terzi delle colonne di una torre e l'edificio sarebbe restato in piedi».[153] Il fuoco indebolì le travature di sostegno dei piani, facendole piegare verso il basso, tirando così le colonne in acciaio esterne che si piegarono verso l'interno. Con le colonne portanti danneggiate, le colonne esterne piegate non furono più in grado di sostenere gli edifici, causandone il collasso. Il rapporto afferma inoltre che le trombe delle scale non erano adeguatamente rinforzate per funzionare da via di fuga per le persone al di sopra della zona di impatto.[154][155] Questo fu confermato da uno studio indipendente della Purdue University.[156] I risultati dell'indagine del NIST sul WTC 7 sono stati pubblicati il 21 agosto 2008: il crollo dell'edificio è stato causato dalla dilatazione termica prodotta dagli incendi che divamparono incontrollati per ore, e che hanno in particolare interessato l'acciaio della colonna primaria numero 79, il cui cedimento ha dato inizio ad un collasso progressivo delle strutture portanti vicine.[157]

Indagine interna della CIA

L'Ispettore Generale della CIA condusse una indagine interna sulle prestazioni della CIA prima dell'11 settembre e fu estremamente critico nei confronti dei funzionari anziani della CIA per non aver fatto tutto ciò che era possibile contro il terrorismo, in particolare per non essere riusciti a fermare due dei dirottatori dell'11 settembre, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, al loro ingresso negli Stati Uniti, e per non aver condiviso le informazioni su di loro con l'FBI.[158]

Nel maggio 2007, senatori appartenenti sia al Partito Democratico che a quello Repubblicano hanno sostenuto una proposta di legge che avrebbe reso pubblica un rapporto d'indagine interno alla CIA. Il rapporto investiga sulle responsabilità del personale CIA prima e dopo gli attacchi: completato nel 2005, i suoi dettagli non sono mai stati resi pubblici.[159]

Effetti a lungo termine-Conseguenze economiche

Gli attacchi ebbero un significativo impatto sui mercati finanziari degli Stati Uniti e mondiali. La borsa di New York (New York Stock Exchange, NYSE), l'American Stock Exchange e il NASDAQ non aprirono l'11 settembre e rimasero chiusi fino al 17 settembre. Quando i mercati riaprirono, l'indice Dow Jones precipitò di 684 punti, pari al 7.1%, fino a 8921, la maggiore flessione mai avuta in un solo giorno.[160] Alla fine della settimana, l'indice Dow Jones era precipitato a 1369,7 punti (14,3%), la maggiore caduta settimanale della sua storia.[161] Le azioni statunitensi persero 1.400 miliardi di dollari di valore in quella settimana.[161] A New York si contarono circa 430.000 posti di lavoro e 2,8 miliardi di dollari di stipendi persi nei tre mesi seguenti agli attacchi; gli effetti economici si concentrarono sui settori economici dell'export della città.[162] Si stima che la perdita in termini di prodotto interno lordo sperimentata dall'economia newyorkese negli ultimi tre mesi del 2001 e per tutto il 2002 ammonti a 27,3 miliardi di dollari. Il governo federale concesse immediatamente 11,2 miliardi di dollari al governo cittadino nel settembre 2001 e 10,5 miliardi di dollari all'inizio del 2002, per incentivare lo sviluppo economico e la ricostruzione delle infrastrutture.[163]

Gli attacchi ebbero un grosso impatto anche sulle piccole imprese di Lower Manhattan, poste nelle vicinanze del World Trade Center; circa 18.000 di queste imprese furono distrutte o trasferite dopo gli attacchi. L'agenzia federale che gestisce i fondi per le piccole imprese, la Small Business Administration, fornì dei prestiti mentre il goveno federale diede assistenza alle piccole imprese danneggiate dagli attacchi tramite il Community Development Block Grants e l'Economic Injury Disaster Loans.[163] Quasi tre milioni di metri quadri di uffici a Lower Manhattan furono danneggiati o distrutti.[164] Gli studi economici sugli effetti degli attacchi hanno confermato che il loro impatto sul mercato degli uffici di Manhattan e su quello dei lavori da ufficio è stato inferiore a quanto previsto, a causa della necessità di una interazione faccia a faccia nell'ambito dei servizi finanziari.[165][166]

Lo spazio aereo nordamericano fu chiuso per diversi giorni dopo gli attacchi e i voli di linea sperimentarono un calo dopo la sua riapertura. Gli attacchi causarono un taglio di circa il 20% della capacità di viaggi aerei, esacerbando i problemi delle compagnie aeree statunitensi.[167]

Effetti sulla salute

Migliaia di tonnellate di detriti tossici risultanti dal collasso delle Torri gemelle contenevano più di 2500 contaminanti, tra cui alcuni elementi noti per essere cancerogeni.[168][169] Sono testimoniate diversi casi di malattie debilitanti tra coloro che si occuparono dei soccorsi e dei lavori di rimozione delle macerie, malattie ritenute collegate direttamente all'esposizione ai detriti.[170][171] Alcune di queste conseguenze sanitarie hanno toccato anche alcuni residenti, studenti e impiegati della Lower Manhattan e della vicina Chinatown.[172] Molti decessi sono stati collegati alla polvere tossica causata dal collasso del World Trade Center e i nomi delle vittime saranno incluse nel memoriale del WTC.[173] Esistono alcuni studi scientifici che suggeriscono che l'esposizione a diversi prodotti tossici dispersi nell'aria potrebbe avere effetti negativi sullo sviluppo del feto: per questo motivo, un centro studi per la salute ambientale dei bambini sta studiando i figli delle donne incinte all'epoca degli attacchi e che vivevano o lavoravano in prossimità delle torri del WTC.[174]

Sono tutt'ora in atto procedimenti legali per il rimborso dei costi delle cure per le malattie connesse agli attacchi. Il 17 ottobre 2006, il giudice federale Alvin Hellerstein annullò il rifiuto della municipalità di New York di pagare i costi dell'assistenza sanitaria ai soccorritori, permettendo così numerosi processi contro l'amministrazione cittadina.[175] Ufficiali governativi sono stati censurati per aver spinto le persone a tornare a Lower Manhattan nelle settimane successive agli attacchi; l'amministratrice della Environmental Protection Agency ("Agenzia per la protezione dell'ambiente", EPA) nel periodo immediatamente successivo agli attacchi, Christine Todd Whitman, fu pesantemente criticata per aver affermato scorrettamente che l'area era sicura dal punto di vista ambientale.[176] Il presidente Bush fu anche criticato per aver interferito con le interpretazioni e i pareri dell'EPA riguardo la qualità dell'aria successivamente agli attacchi.[177] Inoltre, il sindaco Giuliani fu criticato per aver sollecitato il personale del settore finanziario a tornare rapidamente nell'area vasta attorno a Wall Street.[178]

Ricostruzioni

Il giorno degli attacchi, Giuliani affermò: «Ricostruiremo. Ne usciremo più forti di prima, politicamente più forti, economicamente più forti. La skyline tornerà ad essere nuovamente completa».[179] La rimozione dei detriti terminò ufficialmente nel maggio 2002.[180] La Lower Manhattan Development Corporation, incaricata della ricostruire il sito del World Trade Center, è stata criticata per aver compiuto poco con i notevoli fondi destinati alla ricostruzione.[181][182] Uno degli edifici completamente distrutti, il 7 World Trade Center, ha una nuova torre uffici, completata nel 2006; la Freedom Tower è attualmente (2008) in costruzione e, al suo completamento, nel 2011, sarà uno degli edifici più alti dell'America settentrionale con una altezza di 541 m. Si prevede il completamento di altre tre torri tra il 2008 e il 2012, poste un isolato a oriente rispetto a quelle originali.

La sezione danneggiata del Pentagono fu ricostruita e rioccupata entro un anno dagli attacchi.[183]

Monumenti

Nei giorni immediatamente successivi agli attacchi, si tennero molte commemorazioni e veglie in tutto il mondo;[184][185][186] mentre ovunque a Ground Zero furono affisse immagini delle vittime.[187] Uno delle prime commemorazioni fu il Tribute in Light, una istallazione di 88 fari da ricerca posti nelle fondamenta delle Torri che proiettavano due colonne di luce verticalmente verso il cielo.[188] A New York fu istituita una competizione per decidere il progetto di un monumento da erigere sul luogo di Ground Zero; il progetto vincente, Reflecting Absence, selezionato nell'agosto 2006, consiste in una coppia di piscine riflettenti sul luogo delle fondamenta delle Torri, circondate da un monumento sotterraneo in cui sono iscritti i nomi delle vittime.[189] I progetti di creazione di un museo sul sito sono stati sospesi dopo che l'International Freedom Center è stato abbandonato per le critiche delle famiglie delle vittime.[190]

Il monumento del Pentagono è correntemente in costruzione fuori dall'edificio: si tratta di un parco con 184 panchine (pari ai 125 morti che ci sono stati tra gli occupanti dell'edificio più i 59 del volo AA 77) che fronteggiano il Pentagono.[191] Quando il Pentagono fu ricostruito, nel 2001-2002, furono costruiti anche una cappella privata e un monumento interno, posti nel luogo dove il Volo 77 si schiantò nell'edificio.[192] Un monumento del Volo 93 da costruire a Shanksville è in fase di progetto: includerà un groviglio di alberi scolpiti che forma un circolo intorno al sito dell'impatto, tagliato dal percorso dell'aereo, mentre delle campane a vento porteranno i nomi delle vittime.[193] Un monumento temporaneo si trova a 450 m dal sito dell'impatto del Volo 93 a Shanksville.[194] Molti altri monumenti permanenti sono in costruzione in tutto il mondo e la loro lista è aggiornata man mano che sono completati.[195] Oltre a monumenti veri e propri, anche borse di studio e programmi caritatevoli sono stati istituiti dai parenti delle vittime, come pure da altre organizzazioni e privati.[196]

Teorie del complotto

A seguito degli attacchi, negli Stati Uniti e nel mondo sono stati sollevati diversi dubbi circa il reale svolgimento dei fatti e sono state formulate numerose teorie difformi da quelle comunemente accettate, generalmente configurabili come vere e proprie teorie del complotto[197].

Tali dubbi e teorie hanno dato luogo ad innumerevoli dispute e controversie circa la natura, l'origine e i responsabili degli attentati, contestando il contenuto dei resoconti ufficiali circa l'accaduto e suggerendo, tra l'altro, che persone con incarichi di responsabilità negli Stati Uniti fossero a conoscenza del pericolo e che deliberatamente avrebbero deciso di non prevenirli, o che individui estranei ad al-Qa'ida avrebbero partecipato alla pianificazione o all'esecuzione degli attacchi[198]. Una delle più diffuse teorie pone in dubbio che gli edifici colpiti a New York siano crollati per conseguenza del solo impatto degli aerei e degli incendi che ne sono seguiti. Tuttavia, la comunità degli ingegneri civili concorda con la versione che vuole il collasso delle Torri gemelle provocato dagli impatti ad alta velocità degli aviogetti e dai conseguenti incendi, piuttosto che da una demolizione controllata[199] della quale non è mai stata fornita alcuna prova.

fonte:Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Tributo ai vigili del fuoco...



... e a tutte le vittime del WTC



Obama, Bin Laden vivo o morto
Il presidente Obama: ''E' una priorita' assoluta''


NEW YORK - "Catturare o uccidere Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri resta una delle priorità assolute per gli Stati Uniti", ha detto Obama sottolineando che l'eliminazione del capo di Al Qaida segnerebbe "un importante passo avanti per la sicurezza americana".

Il pastore della Florida Terry Jones, intanto, ha fatto sapere che in occasione dell'anniversario dell'11 settembre il falo' del Corano non avra' luogo. Jones aveva detto di sperare di poter incontrare l'Imam di New York che vuole costruire una moschea a breve distanza da Ground Zero, lanciandogli un ultimatum dato perche' si mettesse in contatto con lui entro due ore: ultimatum che era scaduto senza alcun confronto fra le parti.
Nonostante padre Jones avesse annunciato di aver cambiato idea, il presidente aveva lanciato comunque il suo monito. Barack Obama aveva fatto capire di aver ormai giocato tutte le sue carte per convincere il pastore a rinunciare al suo folle disegno di commemorare l'11 settembre insultando l'Islam. E il Pentagono ha reso noto che il ministro della Difesa Robert Gates aveva telefonato al pastore sollecitandolo a non bruciare copie del Corano.

NESSUNO CI DIVIDERA' PER RELIGIONE - "Siamo una nazione unita, composta da persone che danno a Dio nomi diversi. Ma nessuno riuscirà a farci del male con divisioni basate su differenze religiose o etniche". Obama, nella sua conferenza stampa alla Casa Bianca alla vigilia dell'11 settembre, sottolinea come gli Usa "non sono mai stati in guerra con l'Islam, ma con i terroristi di Al Qaida". I quali, ricorda il presidente americano "hanno fatto molte più vittime tra i musulmani". Domani - ha detto Obama - sarà un'ottima occasione per ricordare il rispetto fra tutte le religioni che caratterizza la nostra nazione".

"Bruciare il Corano è contrario ai principi che hanno fatto nascere questo Paese. Spero che chi lo ha proposto cambi idea", ha detto Obama. "La mia speranza è che quest'individuo ci preghi sopra e torni sui suoi passi", ha auspicato Obama, senza mai citare il nome del pastore della Florida.

"VICENDA SERIA PERCHE SIAMO IN ERA WEB" - "Le nostre truppe oggi sono in pericolo. Non si può giocare con queste cose". Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ribadendo i rischi che un atto come quello proposto da Terry Jones possa avere gravissime conseguenze nel mondo musulmano. "Non penso che siamo gli unici ad avere parlato molto di questa vicenda. Ormai viviamo nell'era di Internet e queste sono questioni che possono provocare danni profondi in giro nel mondo. Per questo dovevamo affrontarla in modo molto serio". Obama ha quindi ribadito che bruciare il Corano rappresenta "il migliore regalo che si potesse fare ad Al Qaida, il migliore mezzo che ha per ingrossare le sue fila".


DANIMARCA: TENTA DI FARSI ESPLODERE IN HOTEL, ARRESTATO - Un uomo ha cercato di farsi esplodere in un hotel di Copenaghen causando solo una piccola deflagrazione e rimanendo ferito. Lo hanno segnalato media e fonti ufficiali in Danimarca precisando che l'uomo e' stato arrestato. L'esplosione, ha precisato la polizia, e' avvenuta in un bagno dell'albergo del centro della capitale danese, Copenaghen. ''Tutto cio' che possiamo dire e che c'e' stata una piccola esplosione in questo hotel'', il ''Joergensen'', ha detto un portavoce della polizia di Copenaghen. Secondo testimonianze citate da media danesi, il sospetto kamikaze e' rimasto ferito e arrestato in un parco vicino all'hotel, La polizia ha isolato alcune strade attorno all'edificio ed il parco.

TENSIONE NEL MONDO ISLAMICO - Un manifestante e' rimasto ucciso, da colpi di arma da fuoco, durante una protesta contro le minacce di bruciare il Corano, nei pressi di una base Nato nel nord dell'Afghanistan. Lo riferisce un portavoce locale.
Una folla, di circa 10.000 persone secondo un portavoce del governatore della provincia di Badakhshan, si era riversata in strada a Faizabad, nel nord-est del Paese, dopo la preghiera di fine ramadan. Alcuni tra questi si erano diretti verso una base della Nato gestita dai tedeschi, contro la quale avevano cominciato a lanciare sassi e uno dei manifestati è rimasto ucciso quando dall'interno della base militari hanno aperto il fuoco. Lo ha riferito lo stesso portavoce, Amin Sohail.

Si estende in almeno cinque province dell'Afghanistan la protesta di migliaia di manifestanti contro la minaccia del pastore protestante della Florida Terry Jones di bruciare copie del Corano. Lo riferiscono responsabili locali. Diverse centinaia di dimostranti si sono radunati nella parte nord di Kabul, mentre circa 2.000 persone hanno marciato verso un edificio governativo a Farah. E proteste sono in corso anche a Badghis, nel nord-ovest, e a Ghor e a Herat. La protesta monta anche in Pakistan dove circa 600 manifestanti si sono radunati nella città di Multan, nel centro del Paese, e bandiere americane sono state date alle fiamme.

KARZAI, PASTORE NON PENSI NEMMENO BRUCIARLO - Il pastore della Florida Terry Jones "non dovrebbe nemmeno pensare" di poter bruciare copie del Corano, ha detto oggi il presidente afghano, Hamid Karzai.

"Abbiamo saputo che negli Stati Uniti un pastore ha deciso di profanare il Corano. - ha detto ancora Karzai - Ora, sebbene sembri che alla fine non lo farà, noi gli diciamo che non dovrebbero nemmeno pensarlo" di poter bruciare copie del Corano. Il pastore protestante della Florida Terry Jones, che minacciava di bruciare il Corano sabato prossimo per l'anniversario dell'11/9, non ha ancora rinunciato al suo progetto, nonostante le condanne arrivate da tutto il mondo (compresa quella di Obama). Ieri aveva annunciato che avrebbe annullato l'iniziativa, dopo avere ricevuto assicurazione che non sarebbe stata costruita una moschea nei pressi di Ground Zero. Poi però, quando responsabili del centro culturale islamico di New York hanno fatto sapere di non avere raggiunto alcun accordo, Jones si è detto "deluso" e "scioccato" e ha aggiunto "potremmo essere obbligati a rivedere la nostra decisione" di rinunciare al rogo del Corano.

FONTE: ANSA
 
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alex_sempai
view post Posted on 11/9/2010, 00:06     +1   -1




Brutta storia che purtroppo non puo essere dimenticata e rimarra sulle pagine della storia. Mi dispiace per le famiglie dei morti sopratutto.
 
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view post Posted on 11/9/2010, 00:19     -1   +1   -1
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Io ridico sempre le stesse cose, la causa di tutto questo è sempre quella religione lì, fino a quando non aboliranno quella religione, succederanno sempre queste cose...
 
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90210™
view post Posted on 11/9/2010, 11:52     +1   -1




Ormai anche gli americani hanno smesso di credere alla storiella che hanno cercato di raccontargli. Troppi buchi in una vicenda di cui non sapremo mai la verità.
 
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TerryTerry
view post Posted on 11/9/2010, 11:54     +1   -1




Gli eroi a 4 zampe dell'11 settembre
Tra le esalazioni tossiche di Ground Zero alla ricerca dei superstiti tanti cani coraggiosi/FOTO


Tra le macerie del World Trade Center centinaia di persone cercarono senza sosta e fino allo sfinimento i superstiti. Uomini coraggiosi che salvarono altri uomini camminando tra le esalazioni tossiche di Ground Zero.

Quegli uomini, quegli eroi, spesso non erano soli. Erano silenziosamente e preziosamente accompagnati da piccoli e forti eroi a 4 zampe. Cani di cui spesso non abbiamo saputo nulla. Ma molte persone devono a loro la vita. E molti di loro, come tanti pompieri e operatori sanitari che lavorarono a New York, rimasero uccisi o contrassero brutte malattie.

A loro e' dedicato un reportage di Quattro Zampe con foto tratte da 'Dogs Heroes of september 11th' del Kennel Club Books.

Guarda qui le foto: http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/...1785149332.html

fonte: ansa
 
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Abbott_Juve
view post Posted on 11/9/2010, 13:08     +3   +1   -1




CITAZIONE (zebrone84 @ 11/9/2010, 01:19)
Io ridico sempre le stesse cose, la causa di tutto questo è sempre quella religione lì, fino a quando non aboliranno quella religione, succederanno sempre queste cose...

La favoletta dei terroristi islamici che da soli organizzano un attentato di simili proporzioni aggirando CIA, FBI, NSA e tutti gli organismi di intelligence internazionali ormai non è più credibile per nessuno.

Comunque, tralasciando questa questione, oggi bisogna solo ricordare le vittime di quel giorno. Uno di quei giorni in cui si ricorderà per sempre dove e come si apprese la notizia (io stavo andando a Monaco di Baviera ed ero in un hotel a Rosenheim, lo ricordo come se fosse ieri).
 
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view post Posted on 11/9/2010, 13:20     +1   -1

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CITAZIONE (Abbott_Juve @ 11/9/2010, 14:08)
CITAZIONE (zebrone84 @ 11/9/2010, 01:19)
Io ridico sempre le stesse cose, la causa di tutto questo è sempre quella religione lì, fino a quando non aboliranno quella religione, succederanno sempre queste cose...

La favoletta dei terroristi islamici che da soli organizzano un attentato di simili proporzioni aggirando CIA, FBI, NSA e tutti gli organismi di intelligence internazionali ormai non è più credibile per nessuno.

Comunque, tralasciando questa questione, oggi bisogna solo ricordare le vittime di quel giorno. Uno di quei giorni in cui si ricorderà per sempre dove e come si apprese la notizia (io stavo andando a Monaco di Baviera ed ero in un hotel a Rosenheim, lo ricordo come se fosse ieri).

Concordo pienamente :sisi:
 
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TerryTerry
view post Posted on 11/9/2010, 13:58     +1   -1




L'11 Settembre visto da Oriana Fallaci

La rabbia e l'orgoglio di Oriana Fallaci

Mi chiedi di parlare, stavolta. Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo che anche in Italia alcuni gioiscono come l' altra sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. «Vittoria! Vittoria!». Uomini, donne, bambini. Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali, nonché altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: «Bene. Agli americani gli sta bene». E sono molto molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d' una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso. Arrabbiata come me, la poetessa afro-americana Maya Angelou ieri ha ruggito: «Be angry. It' s good to be angry, it' s healthy. Siate arrabbiati. Fa bene essere arrabbiati. È sano». E se a me fa bene io non lo so. Però so che non farà bene a loro, intendo dire a chi ammira gli Usama Bin Laden, a chi gli esprime comprensione o simpatia o solidarietà. Hai acceso un detonatore che da troppo tempo ha voglia di scoppiare, con la tua richiesta. Vedrai. Mi chiedi anche di raccontare come l' ho vissuta io, quest' Apocalisse. Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella.
Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d' un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: «Down! Get down! Giù! Buttati giù». L' ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l' audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull' obiettivo, si getta sull' obiettivo. Sicché ho capito. Ho capito anche perché nello stesso momento l' audio è tornato e ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. «God! Oh, God! Oh, God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio, Dio, Dioooooooo!» E l' aereo s' è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. Erano le 9 e un quarto, ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, e venivano giù così lentamente. Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell' aria. Sì, sembravano nuotare nell' aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf!
Sai, io credevo d' aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l' ho mai vista la gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi senza paracadute dalle finestre d' un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre, inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran fracasso. Quelle due torri, invece, non sono esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s' è fusa, s' è sciolta. Per il calore s' è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m' è parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C' era davvero, quel silenzio, o era dentro di me? Devo anche dirti che alle guerre io ho sempre visto un numero limitato di morti. Ogni combattimento, duecento o trecento morti. Al massimo, quattrocento. Come a Dak To, in Vietnam. E quando il combattimento è finito, gli americani si son messi a raccattarli, contarli, non credevo ai miei occhi. Nella strage di Mexico City, quella dove anch' io mi beccai un bel po' di pallottole, di morti ne raccolsero almeno ottocento. E quando credendomi morta mi scaraventarono nell' obitorio, i cadaveri che presto mi ritrovai intorno e addosso mi sembrarono un diluvio. Bè, nelle due torri lavoravano quasi cinquantamila persone. E ben pochi hanno fatto in tempo ad evacuare. Gli ascensori non funzionavano più, ovvio, e per scendere a piedi dagli ultimi piani ci voleva un' eternità. Fiamme permettendo.
Non lo conosceremo mai, il numero dei morti. (Quarantamila, quarantacinquemila...?). Gli americani non lo diranno mai. Per non sottolineare l' intensità di questa Apocalisse. Per non dar soddisfazione a Usama Bin Laden e incoraggiare altre Apocalissi. E poi le due voragini che hanno assorbito le decine di migliaia di creature son troppo profonde. Al massimo gli operai dissottèrrano pezzettini di membra sparse. Un naso qui, un dito là. Oppure una specie di melma che sembra caffè macinato e invece è materia organica. Il residuo dei corpi che in un lampo si polverizzarono. Ieri il sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila sacchi. Ma sono rimasti inutilizzati.
Che cosa sento per i kamikaze che sono morti con loro? Nessun rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra Mondiale. Non li ho mai considerati Pietri Micca che per bloccar l' arrivo delle truppe nemiche danno fuoco alle polveri e saltano in aria con la cittadella, a Torino. Non li ho mai considerati soldati. E tantomeno li considero martiri o eroi, come berciando e sputando saliva il signor Arafat me li definì nel 1972. (Ossia quando lo intervistai ad Amman, luogo dove i suoi marescialli addestravano anche i terroristi della Baader-Meinhof). Li considero vanesi e basta. Vanesi che invece di cercar la gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte propria e altrui. Una morte che invece del Premio Oscar o della poltrona ministeriale o dello scudetto gli procurerà (credono) ammirazione. E, nel caso di quelli che pregano Allah, un posto nel Paradiso di cui parla il Corano: il Paradiso dove gli eroi si scopano le Urì. Scommetto che sono vanesi anche fisicamente.
Ho sotto gli occhi la fotografia dei due kamikaze di cui parlo nel mio «Insciallah»: il romanzo che incomincia con la distruzione della base americana (oltre quattrocento morti) e della base francese (oltre trecentocinquanta morti) a Beirut. Se l' erano fatta scattare prima d' andar a morire, quella fotografia, e prima d' andar a morire erano stati dal barbiere. Guarda che bel taglio di capelli. Che baffi impomatati, che barbetta leccata, che basette civettuole... Eh! Chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, tra me e lui non corre buon sangue. Non mi ha mai perdonato né le roventi differenze di opinione che avemmo durante quell' incontro né il giudizio che su di lui espressi nel mio libro «Intervista con la storia». Quanto a me, non gli ho mai perdonato nulla. Incluso il fatto che un giornalista italiano imprudentemente presentatosi a lui come «mio amico», si sia ritrovato con una rivoltella puntata contro il cuore. Ergo, non ci frequentiamo più. Peccato. Perché se lo incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi udienza, glielo urlerei sul muso chi sono i martiri e gli eroi. Gli urlerei: illustre Signor Arafat, i martiri sono i passeggeri dei quattro aerei dirottati e trasformati in bombe umane. Tra di loro la bambina di quattro anni che si è disintegrata dentro la seconda torre. Illustre Signor Arafat, i martiri sono gli impiegati che lavoravano nelle due torri e al Pentagono. Illustre Signor Arafat, i martiri sono i pompieri morti per tentar di salvarli. E lo sa chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo che doveva buttarsi sulla Casa Bianca e che invece si è schiantato in un bosco della Pennsylvania perché loro si son ribellati! Per loro sì che ci vorrebbe il Paradiso, illustre Signor Arafat. Il guaio è che ora fa Lei il capo di Stato ad perpetuum. Fa il monarca. Rende visita al Papa, afferma che il terrorismo non le piace, manda le condoglianze a Bush. E nella sua camaleontica abilità di smentirsi, sarebbe capace di rispondermi che ho ragione. Ma cambiamo discorso. Io sono molto ammalata, si sa, e a parlare con gli Arafat mi viene la febbre.
Preferisco parlare dell'invulnerabilità che tanti, in Europa, attribuivano all'America. Invulnerabilità? Ma come invulnerabilità?!? Più una società è democratica e aperta, più è esposta al terrorismo. Più un paese è libero, non governato da un regime poliziesco, più subisce o rischia i dirottamenti o i massacri che sono avvenuti per tanti anni in Italia in Germania e in altre regioni d' Europa. E che ora avvengono, ingigantiti, in America. Non per nulla i paesi non democratici, governati da un regime poliziesco, hanno sempre ospitato e finanziato e aiutano i terroristi. L' Unione Sovietica, i paesi satelliti dell' Unione Sovietica e la Cina Popolare, ad esempio. La Libia di Gheddafi, l'Iraq, l'Iran, la Siria, il Libano arafattiano, lo stesso Egitto, la stessa Arabia Saudita di cui Usama Bin Laden è suddito, lo stesso Pakistan, ovviamente l' Afghanistan, e tutte le regioni musulmane dell' Africa. Negli aeroporti e sugli aerei di quei paesi io mi sono sempre sentita sicura. Serena come un neonato che dorme. L' unica cosa che temevo era essere arrestata perché scrivevo male dei terroristi. Negli aeroporti e sugli aerei europei, invece, mi sono sempre sentita nervosetta. Negli aeroporti e sugli aerei americani, addirittura nervosa. E a New York, due volte nervosa. (A Washington, no. Devo ammetterlo. L' aereo sul Pentagono non me lo aspettavo davvero). A mio giudizio, insomma, non è mai stato un problema di «se»: è sempre stato un problema di «quando». Perché credi che martedì mattina il mio subconscio abbia avvertito quella inquietudine, quella sensazione di pericolo? Perché credi che contrariamente alle mie abitudini abbia acceso il televisore? Perché credi che fra le tre domande che mi ponevo mentre la prima torre bruciava e l' audio non funzionava, ci fosse quella sull' attentato? E perché credi che appena apparso il secondo aereo abbia capito? Poiché l' America è il Paese più forte del mondo, il più ricco, il più potente, il più moderno, ci sono cascati quasi tutti in quel tranello. Gli americani stessi, a volte. Ma la vulnerabilità dell' America nasce proprio dalla sua forza, dalla sua ricchezza, dalla sua potenza, dalla sua modernità. La solita storia del cane che si mangia la coda. Nasce anche dalla sua essenza multi-etnica, dalla sua liberalità, dal suo rispetto per i cittadini e per gli ospiti.
Esempio: circa ventiquattro milioni di americani sono arabi-musulmani. E quando un Mustafà o un Muhammed viene diciamo dall' Afghanistan per visitare lo zio, nessuno gli proibisce di frequentare una scuola di pilotaggio per imparare a guidare un 757. Nessuno gli proibisce d' iscriversi a un' Università (cosa che spero cambi) per studiare chimica e biologia: le due scienze necessarie a scatenare una guerra batteriologica. Nessuno. Neppure se il governo teme che quel figlio di Allah dirotti il 757 oppure butti una fiala di batteri nel deposito dell' acqua e scateni una strage. (Dico «se» perché stavolta il governo non ne sapeva un bel niente e la figuraccia fatta dalla Cia e dall' Fbi va al di là d' ogni limite. Se fossi il presidente degli Stati Uniti io li caccerei tutti a pedate nei posteriori per cretineria). E detto ciò torniamo al ragionamento iniziale. Quali sono i simboli della forza, della ricchezza, della potenza, della modernità americane? Non certo il jazz e il rock and roll, il chewing-gum e l' hamburger, Broadway ed Hollywood. Sono i suoi grattacieli. Il suo Pentagono. La sua scienza. La sua tecnologia. Quei grattacieli impressionanti, così alti, così belli che ad alzar gli occhi quasi dimentichi le piramidi e i divini palazzi del nostro passato. Quegli aerei giganteschi, esagerati, che ormai usano come un tempo usavano i velieri e i camion perché tutto qui si muove con gli aerei. Tutto. La posta, il pesce fresco, noi stessi (E non dimenticare che la guerra aerea l' hanno inventata loro. O almeno sviluppata fino all' isteria). Quel Pentagono terrificante, quella fortezza che fa paura solo a guardarla. Quella scienza onnipresente, onnipossente. Quella tecnologia raggelante che in pochissimi anni ha stravolto la nostra esistenza quotidiana, la nostra millenaria maniera di comunicare, mangiare, vivere. E dove li ha colpiti, il reverendo Usama Bin Laden? Sui grattacieli, sul Pentagono. Come? Con gli aerei, con la scienza, con la tecnologia. By the way: sai cosa mi impressiona di più in questo tristo ultramiliardario, questo mancato play-boy che anziché corteggiare le principesse bionde e folleggiare nei night-club (come faceva a Beirut quando aveva vent' anni) si diverte ad ammazzar la gente in nome di Maometto e di Allah? Il fatto che il suo sterminato patrimonio derivi anche dai guadagni d' una Corporation specializzata nel demolire, e che egli stesso sia un esperto demolitore. La demolizione è una specialità americana.
Quando ci siamo incontrati t'ho visto quasi stupefatto dall'eroica efficienza e dall'ammirevole unità con cui gli americani hanno affrontato quest'Apocalisse. Eh, sì. Nonostante i difetti che le vengono continuamente rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell' Europa e in particolare dell'Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che ha grosse cose da insegnarci. E a proposito dell'eroica efficienza lasciami cantare un peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi italiani dovremmo ringraziare in ginocchio. Perché ha un cognome italiano, è un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura dinanzi al mondo intero. E' un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani. Te lo dice una che non è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da se stessa. E' un sindaco degno d' un altro grandissimo sindaco col cognome italiano, Fiorello La Guardia, e tanti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui. Presentarsi a capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli: «Sor Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?». Lui non delega i suoi doveri al prossimo, no. Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide tra l' incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. (C' è nessuno che mi ascolta nelle tre città di Stendhal, insomma a Napoli e a Firenze e a Roma?). Essendo corso subito, e subito entrato nel secondo grattacielo, ha rischiato di trasformarsi in cenere con gli altri. S' è salvato per un pelo e per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi la città. Una città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella sola Manhattan. Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover' uomo. Il cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta d' essere sano: lavora lo stesso. Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando seduta! Lui, invece... Sembrava un generale che partecipa di persona alla battaglia. Un soldato che si lancia all' attacco con la baionetta. «Forza, gente, forzaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiii!» Ma poteva farlo perché quella gente era, è, come lui. Gente senza boria e senza pigrizia, avrebbe detto mio padre, e con le palle.
Quanto all' ammirevole capacità di unirsi, alla compattezza quasi marziale con cui gli americani rispondono alle disgrazie e al nemico, bè: devo ammettere che lì per lì ha stupito anche me. Sapevo, sì, che era esplosa al tempo di Pearl Harbor, cioè quando il popolo s' era stretto intorno a Roosevelt e Roosevelt era entrato in guerra contro la Germania di Hitler e l' Italia di Mussolini e il Giappone di Hirohito. L' avevo annusata, sì, dopo l' assassinio di Kennedy. Ma a questo era seguita la guerra in Vietnam, la lacerante divisione causata dalla guerra in Vietnam, e in un certo senso ciò mi aveva ricordato la loro Guerra Civile d' un secolo e mezzo fa. Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God save America, Dio salvi l' America», quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso, quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare «Stringiamoci intorno a Bush, abbiate fiducia nel nostro presidente». Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hillary ora senatore per lo Stato di New York. Lo stesso, quando sono state reiterate da Lieberman, l' ex candidato democratico alla vice-presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). E lo stesso quando il Congresso ha votato all' unanimità d' accettare la guerra, punire i responsabili. Ah, se l'Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l'Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all' interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l' opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all' opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell' opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani. Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: «I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d' essere esausto, non d' essere sconfitto». Tutti. Giovani, giovanissimi, vecchi, di mezz' età. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola... L' avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l' ha organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria...
In inglese la parola Patria non c' è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land,Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese. Però il sostantivo Patriotism c' è. L' aggettivo Patriotic c' è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell' America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all' Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c' è una partita internazionale di calcio. Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia. Eh! C' è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah. Oppure per raccogliere quel caffè macinato.
Il fatto è che l'America è un paese speciale, caro mio. Un paese da invidiare, di cui esser gelosi, per cose che non hanno nulla a che fare con la ricchezza eccetera. Lo è perché è nato da un bisogno dell'anima, il bisogno d'avere una patria, e dall' idea più sublime che l' Uomo abbia mai concepito: l' idea della Libertà, anzi della libertà sposata all' idea di uguaglianza. Lo è anche perché a quel tempo l' idea di libertà non era di moda. L' idea di uguaglianza, nemmeno. Non ne parlavano che certi filosofi detti Illuministi, di queste cose. Non li trovavi che in un costosissimo librone a puntate detto l' Encyclopedie, questi concetti. E a parte gli scrittori o gli altri intellettuali, a parte i principi e i signori che avevano i soldi per comprare il librone o i libri che avevano ispirato il librone, chi ne sapeva nulla dell' Illuminismo? Non era mica roba da mangiare, l' Illuminismo! Non ne parlavan neppure i rivoluzionari della Rivoluzione Francese, visto che la Rivoluzione Francese sarebbe incominciata nel 1789 ossia tredici anni dopo la Rivoluzione Americana che scoppiò nel 1776. (Altro particolare che gli antiamericani del bene-agli-americani-gli-sta-bene ignorano o fingono di dimenticare. Razza di ipocriti).
È un paese speciale, un paese da invidiare, inoltre, perché quell' idea venne capita da contadini spesso analfabeti o comunque ineducati. I contadini delle colonie americane. E perché venne materializzata da un piccolo gruppo di leader straordinari: da uomini di grande cultura, di gran qualità. The Founding Fathers, i Padri Fondatori. Ma hai idea di chi fossero i Padri Fondatori, i Benjamin Franklin e i Thomas Jefferson e i Thomas Paine e i John Adams e i George Washington eccetera? Altro che gli avvocaticchi (come giustamente li chiamava Vittorio Alfieri) della Rivoluzione Francese! Altro che i cupi e isterici boia del Terrore, i Marat e i Danton e i Saint Just e i Robespierre! Erano tipi, i Padri Fondatori, che il greco e il latino lo conoscevano come gli insegnanti italiani di greco e di latino (ammesso che ne esistano ancora) non lo conosceranno mai. Tipi che in greco s' eran letti Aristotele e Platone, che in latino s' eran letti Seneca e Cicerone, e che i principii della democrazia greca se l' eran studiati come nemmeno i marxisti del mio tempo studiavano la teoria del plusvalore. (Ammesso che la studiassero davvero). Jefferson conosceva anche l' italiano. (Lui diceva «toscano»). In italiano parlava e leggeva con gran speditezza. Infatti con le duemila piantine di vite e le mille piantine di olivo e la carta da musica che in Virginia scarseggiava, nel 1774 il fiorentino Filippo Mazzei gli aveva portato varie copie d' un libro scritto da un certo Cesare Beccaria e intitolato «Dei Delitti e delle Pene». Quanto all' autodidatta Franklin, era un genio. Scienziato, stampatore, editore, scrittore, giornalista, politico, inventore. Nel 1752 aveva scoperto la natura elettrica del fulmine e aveva inventato il parafulmine. Scusa se è poco. E fu con questi leader straordinari, questi uomini di gran qualità, che nel 1776 i contadini spesso analfabeti e comunque ineducati si ribellarono all' Inghilterra. Fecero la guerra d' indipendenza, la Rivoluzione Americana. Bè... Nonostante i fucili e la polvere da sparo, nonostante i morti che ogni guerra costa, non la fecero coi fiumi di sangue della futura Rivoluzione Francese. Non la fecero con la ghigliottina e coi massacri della Vandea. La fecero con un foglio che insieme al bisogno dell' anima, il bisogno d' avere una patria, concretizzava la sublime idea della libertà anzi della libertà sposata all' uguaglianza.
La Dichiarazione d' Indipendenza. «We hold these Truths to be self-evident... Noi riteniamo evidenti queste verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali. Che sono dotati dal Creatore di certi inalienabili Diritti. Che tra questi Diritti v' è il diritto alla Vita, alla Libertà, alla Ricerca della Felicità. Che per assicurare questi Diritti gli Uomini devono istituire i governi...». E quel foglio che dalla Rivoluzione Francese in poi tutti gli abbiamo bene o male copiato, o al quale ci siamo ispirati, costituisce ancora la spina dorsale dell' America. La linfa vitale di questa nazione. Sai perché? Perché trasforma i sudditi in cittadini. Perché trasforma la plebe in Popolo. Perché la invita anzi le ordina di governarsi, d' esprimere le proprie individualità, di cercare la propria felicità. Tutto il contrario di ciò che il comunismo faceva proibendo alla gente di ribellarsi, governarsi, esprimersi, arricchirsi, e mettendo Sua Maestà lo Stato al posto dei soliti re. «Il comunismo è un regime monarchico, una monarchia di vecchio stampo. In quanto tale taglia le palle agli uomini. E quando a un uomo gli tagli le palle non è più un uomo» diceva mio padre. Diceva anche che invece di riscattare la plebe il comunismo trasformava tutti in plebe. Rendeva tutti morti di fame. Bè, secondo me l' America riscatta la plebe. Sono tutti plebei, in America. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola, stupidi, intelligenti, poveri, ricchi. Anzi i più plebei sono proprio i ricchi. Nella maggioranza dei casi, certi piercoli! Rozzi, maleducati. Lo vedi subito che non hanno mai letto Monsignor della Casa, che non hanno mai avuto nulla a che fare con la raffinatezza e il buon gusto e la sophistication. Nonostante i soldi che sprecano nel vestirsi, ad esempio, son così ineleganti che in paragone la regina d' Inghilterra sembra chic. Però sono riscattati, perdio. E a questo mondo non c' è nulla di più forte, di più potente, della plebe riscattata. Ti rompi sempre le corna con la Plebe Riscattata. E con l' America le corna se le sono sempre rotte tutti. Inglesi, tedeschi, messicani, russi, nazisti, fascisti, comunisti. Da ultimo se le son rotte perfino i vietnamiti che dopo la vittoria son dovuti scendere a patti con loro sicché quando un ex presidente degli Stati Uniti va a fargli una visitina toccano il cielo con un dito. «Bienvenu, Monsieur le President, bienvenu!». Il guaio è che i vietnamiti non pregano Allah. E con i figli di Allah la faccenda sarà dura. Molto lunga e molto dura. Ammenoché il resto dell' Occidente non smetta di farsela addosso. E ragioni un po' e gli dia una mano.
Non sto parlando, ovvio, alle iene che se la godono a veder le immagini delle macerie e ridacchiano bene-agli-americani-gli-sta-bene. Sto parlando alle persone che pur non essendo stupide o cattive, si cullano ancora nella prudenza e nel dubbio. E a loro dico: sveglia, gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d' andar contro corrente cioè d' apparire razzisti (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione. Voluta e dichiarata da una frangia di quella religione, forse, comunque una guerra di religione. Una guerra che essi chiamano Jihad. Guerra Santa. Una guerra che non mira alla conquista del nostro territorio, forse, ma che certamente mira alla conquista delle nostre anime. Alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà. All' annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci.
Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri... Cristo! Non vi rendete conto che gli Usama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador, perché andate al teatro e al cinema, perché ascoltate la musica e cantate le canzonette, perché ballate nelle discoteche o a casa vostra, perché guardate la televisione, perché portate la minigonna o i calzoncini corti, perché al mare o in piscina state ignudi o quasi ignudi, perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare? Non v' importa neanche di questo, scemi? Io sono atea, graziaddio. E non ho alcuna intenzione di lasciarmi ammazzare perché lo sono. Da vent' anni lo dico, da vent' anni. Con una certa mitezza, non con questa passione, vent' anni fa su questa roba scrissi un articolo di fondo per il «Corriere». Era l'articolo di una persona abituata a stare con tutte le razze e tutti i credi, d' una cittadina abituata a combattere tutti i fascismi e tutte le intolleranze, d' una laica senza tabù. Ma era anche l' articolo di una persona indignata con chi non sentiva il puzzo di una Guerra Santa a venire, e ai figli di Allah gliene perdonava un po' troppe. Feci un ragionamento che suonava press' appoco così, vent' anni fa. «Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando loro disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra, e v' informo che Dante Alighieri mi piace più di Omar Khayan». Apriti cielo. Mi crocifissero. «Razzista, razzista!». Eh, furono gli stessi progressisti (a quel tempo si chiamavano comunisti) a crocifiggermi. Del resto quell' insulto me lo presi anche quando i sovietici invasero l' Afghanistan. Li ricordi quei barbuti con la sottana e il turbante che prima di sparare il mortaio, anzi a ciascun colpo di mortaio, berciavano le lodi del Signore? «Allah akbar! Allah akbar!». Io li ricordo bene. E a veder accoppiare la parola Dio al colpo di mortaio, mi venivano i brividi. Mi pareva d' essere nel Medioevo, e dicevo: «I sovietici sono quello che sono. Però bisogna ammettere che a far quella guerra proteggono anche noi. E li ringrazio». Riapriti cielo. «Razzista, razzista!». Nella loro cecàggine non volevan neanche sentirmi parlare delle mostruosità che i figli di Allah commettevano sui militari fatti prigionieri. (Gli segavano le braccia e le gambe, rammenti? Un vizietto a cui s' erano già abbandonati in Libano coi prigionieri cristiani ed ebrei). Non volevano che lo dicessi, no. E pur di fare i progressisti applaudivano gli americani che rincretiniti dalla paura dell' Unione Sovietica riempivan di armi l' eroico-popolo-afghano. Addestravano i barbuti, e coi barbuti un barbutissimo Usama Bin Laden. Via-i-russi-dall' Afghanistaaaan! I-russi- devono-andarsene-dall' Afghanistaaaan! Bè, i russi se ne sono andati dall' Afghanistan: contenti? E dall' Afghanistan i barbuti del barbutissimo Usama Bin Laden sono arrivati a New York con gli sbarbati siriani egiziani iracheni libanesi palestinesi sauditi che componevano la banda dei diciannove kamikaze identificati: contenti? Peggio: ora qui si discute sul prossimo attacco che ci colpirà con le armi chimiche, biologiche, radioattive, nucleari.
Si dice che la nuova strage è inevitabile perché l' Iraq gli fornisce il materiale. Si parla di vaccinazioni, di maschere a gas, di peste. Ci si chiede quando avverrà... Contenti? Alcuni non sono né contenti né scontenti. Se ne fregano e basta. Tanto l' America è lontana, tra l' Europa e l' America c' è un oceano... Eh, no, cari miei. No. C' è un filo d' acqua. Perché quando è in ballo il destino dell' Occidente, la sopravvivenza della nostra civiltà, New York siamo noi. L' America siamo noi. Noi italiani, noi francesi, noi inglesi, noi tedeschi, noi austriaci, noi ungheresi, noi slovacchi, noi polacchi, noi scandinavi, noi belgi, noi spagnoli, noi greci, noi portoghesi. Se crolla l' America, crolla l' Europa. Crolla l' Occidente, crolliamo noi. E non solo in senso finanziario cioè nel senso che, mi pare, vi preoccupa di più. (Una volta, ero giovane e ingenua, dissi ad Arthur Miller: «Gli americani misurano tutto coi soldi, non pensano che ai soldi». E Arthur Miller mi rispose: «Voi no?»). In tutti i sensi crolliamo, caro mio. E al posto delle campane ci ritroviamo i muezzin, al posto delle minigonne ci ritroviamo il chador, al posto del cognacchino il latte di cammella. Neanche questo capite, neanche questo volete capire?!? Blair lo ha capito. È venuto qui e ha portato anzi rinnovato a Bush la solidarietà degli inglesi. Non una solidarietà espressa con le chiacchiere e i piagnistei: una solidarietà basata sulla caccia ai terroristi e sull' alleanza militare. Chirac, no. Come sai la scorsa settimana era qui in visita ufficiale. Una visita prevista da tempo, non una visita ad hoc. Ha visto le macerie delle due torri, ha saputo che i morti sono un numero incalcolabile anzi inconfessabile, ma non s' è sbilanciato. Durante l' intervista alla Cnn ben quattro volte la ma amica Cristiana Amanpour gli ha chiesto in qual modo e in qual misura intendesse schierarsi contro questa Jihad, e per quattro volte Chirac ha evitato una risposta. È sgusciato via come un' anguilla. Veniva voglia di gridargli: «Monsieur le President! Ricorda lo sbarco in Normandia? Lo sa quanti americani sono crepati in Normandia per cacciare i nazisti anche dalla Francia?». Escluso Blair, del resto, neanche fra gli altri europei vedo Riccardi Cuor di Leone. E tantomeno ne vedo in Italia dove il governo non ha individuato quindi arrestato alcun complice o sospetto complice di Usama Bin Laden. Perdio, signor cavaliere, perdio! Malgrado la paura della guerra, in ogni paese d' Europa è stato individuato e arrestato qualche complice di Usama Bin Laden. In Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna... Ma in Italia dove le moschee di Milano e di Torino e di Roma traboccano di mascalzoni che inneggiano a Usama Bin Laden, di terroristi in attesa di far saltare in aria la Cupola di San Pietro, nessuno. Zero. Nulla. Nessuno.
Mi spieghi, signor cavaliere: son così incapaci i Suoi poliziotti e carabinieri? Son così coglioni i Suoi servizi segreti? Son così scemi i Suoi funzionari? E son tutti stinchi di santo, tutti estranei a ciò che è successo e succede, i figli di Allah che ospitiamo? Oppure a fare le indagini giuste, a individuare e arrestare chi finoggi non avete individuato e arrestato, Lei teme di subire il solito ricatto razzista-razzista? Io, vede, no. Cristo! Io non nego a nessuno il diritto di avere paura. Chi non ha paura della guerra è un cretino. E chi vuol far credere di non avere paura alla guerra, l' ho scritto mille volte, è insieme un cretino e un bugiardo. Ma nella Vita e nella Storia vi sono casi in cui non è lecito aver paura. Casi in cui aver paura è immorale e incivile. E quelli che, per debolezza o mancanza di coraggio o abitudine a tenere il piede in due staffe si sottraggono a questa tragedia, a me sembrano masochisti.
Masochisti, sì, masochisti. Perché vogliamo farlo questo discorso su ciò che tu chiami Contrasto-fra-le-Due-Culture? Bè, se vuoi proprio saperlo, a me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano come se fossero due realtà parallele, di uguale peso e di uguale misura. Perché dietro la nostra civiltà c' è Omero, c' è Socrate, c' è Platone, c' è Aristotele, c' è Fidia, perdio. C' è l' antica Grecia col suo Partenone e la sua scoperta della Democrazia. C' è l' antica Roma con la sua grandezza, le sue leggi, il suo concetto della Legge. Le sue sculture, la sua letteratura, la sua architettura. I suoi palazzi e i suoi anfiteatri, i suoi acquedotti, i suoi ponti, le sue strade. C' è un rivoluzionario, quel Cristo morto in croce, che ci ha insegnato (e pazienza se non lo abbiamo imparato) il concetto dell' amore e della giustizia. C' è anche una Chiesa che mi ha dato l' Inquisizione, d' accordo. Che mi ha torturato e bruciato mille volte sul rogo, d' accordo. Che mi ha oppresso per secoli, che per secoli mi ha costretto a scolpire e dipingere solo Cristi e Madonne, che mi ha quasi ammazzato Galileo Galilei. Me lo ha umiliato, me lo ha zittito. Però ha dato anche un gran contributo alla Storia del Pensiero: sì o no? E poi dietro la nostra civiltà c' è il Rinascimento. C' è Leonardo da Vinci, c' è Michelangelo, c' è Raffaello, c' è la musica di Bach e di Mozart e di Beethoven. Su su fino a Rossini e Donizetti e Verdi and Company. Quella musica senza la quale noi non sappiamo vivere e che nella loro cultura o supposta cultura è proibita. Guai se fischi una canzonetta o mugoli il coro del Nabucco.
E infine c' è la Scienza, perdio. Una scienza che ha capito parecchie malattie e le cura. Io sono ancora viva, per ora, grazie alla nostra scienza: non quella di Maometto. Una scienza che ha inventato macchine meravigliose. Il treno, l' automobile, l' aereo, le astronavi con cui siamo andati sulla Luna e su Marte e presto andremo chissàddove. Una scienza che ha cambiato la faccia di questo pianeta con l' elettricità, la radio, il telefono, la televisione, e a proposito: è vero che i santoni della sinistra non vogliono dire ciò che ho appena detto?!? Dio, che bischeri! Non cambieranno mai. Ed ora ecco la fatale domanda: dietro all' altra cultura che c' è? Boh! Cerca cerca, io non ci trovo che Maometto col suo Corano e Averroè coi suoi meriti di studioso. (I Commentari su Aristotele eccetera), Arafat ci trova anche i numeri e la matematica. Di nuovo berciandomi addosso, di nuovo coprendomi di saliva, nel 1972 mi disse che la sua cultura era superiore alla mia, molto superiore alla mia, perché i suoi nonni avevano inventato i numeri e la matematica. Ma Arafat ha la memoria corta. Per questo cambia idea e si smentisce ogni cinque minuti. I suoi nonni non hanno inventato i numeri e la matematica. Hanno inventato la grafia dei numeri che anche noi infedeli adopriamo, e la matematica è stata concepita quasi contemporaneamente da tutte le antiche civiltà. In Mesopotamia, in Grecia, in India, in Cina, in Egitto, tra i Maya... I suoi nonni, Illustre Signor Arafat, non ci hanno lasciato che qualche bella moschea e un libro col quale da millequattrocento anni mi rompono le scatole più di quanto i cristiani me le rompano con la Bibbia e gli ebrei con la Torah. E ora vediamo quali sono i pregi che distinguono questo Corano.
Davvero pregi? Dacché i figli di Allah hanno semidistrutto New York, gli esperti dell' Islam non fanno che cantarmi le lodi di Maometto: spiegarmi che il Corano predica la pace e la fratellanza e la giustizia. (Del resto lo dice anche Bush, povero Bush. E va da sé che Bush deve tenersi buoni i ventiquattro milioni di americani-musulmani, convincerli a spifferare quel che sanno sugli eventuali parenti o amici o conoscenti devoti a Usama Bin Laden). Ma allora come la mettiamo con la storia dell' Occhio-per-Occhio-Dente-per-Dente? Come la mettiamo con la faccenda del chador anzi del velo che copre il volto delle musulmane, sicché per dare una sbirciata al prossimo quelle infelici devon guardare attraverso una fitta rete posta all' altezza degli occhi? Come la mettiamo con la poligamia e col principio che le donne debbano contare meno dei cammelli, che non debbano andare a scuola, non debbano andare dal dottore, non debbano farsi fotografare eccetera? Come la mettiamo col veto degli alcolici e la pena di morte per chi li beve? Anche questo sta nel Corano. E non mi sembra mica tanto giusto, tanto fraterno, tanto pacifico. Ecco dunque la mia risposta alla tua domanda sul Contrasto-delle-Due-Culture. Al mondo c' è posto per tutti, dico io. A casa propria tutti fanno quel che gli pare. E se in alcuni paesi le donne sono così stupide da accettare il chador anzi il velo da cui si guarda attraverso una fitta rete posta all' altezza degli occhi, peggio per loro. Se son così scimunite da accettar di non andare a scuola, non andar dal dottore, non farsi fotografare eccetera, peggio per loro. Se son così minchione da sposare uno stronzo che vuole quattro mogli, peggio per loro. Se i loro uomini sono così grulli da non bere la birra e il vino, idem. Non sarò io a impedirglielo.
Ci mancherebbe altro. Sono stata educata nel concetto di libertà, io, e la mia mamma diceva: «Il mondo è bello perché è vario». Ma se pretendono d' imporre le stesse cose a me, a casa mia... Lo pretendono. Usama Bin Laden afferma che l' intero pianeta Terra deve diventar musulmano, che dobbiamo convertirci all' Islam, che con le buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci. E questo non può piacerci, no. Deve metterci addosso una gran voglia di rovesciar le carte, ammazzare lui. Però la cosa non si risolve, non si esaurisce, con la morte di Usama Bin Laden. Perché gli Usama Bin Laden sono decine di migliaia, ormai, e non stanno soltanto in Afghanistan o negli altri paesi arabi. Stanno dappertutto, e i più agguerriti stanno proprio in Occidente. Nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre università, nei gangli della tecnologia. Quella tecnologia che qualsiasi ottuso può maneggiare. La Crociata è in atto da tempo. E funziona come un orologio svizzero, sostenuta da una fede e da una perfidia paragonabile soltanto alla fede e alla perfidia di Torquemada quando gestiva l' Inquisizione. Infatti trattare con loro è impossibile. Ragionarci, impensabile. Trattarli con indulgenza o tolleranza o speranza, un suicidio. E chi crede il contrario è un illuso. Te lo dice una che quel tipo di fanatismo lo ha conosciuto abbastanza bene in Iran, in Pakistan, in Bangladesh, in Arabia Saudita, in Kuwait, in Libia, in Giordania, in Libano, e a casa sua.
Cioè in Italia. Lo ha conosciuto, ed anche attraverso episodi triviali, anzi grotteschi, ne ha avuto raggelanti conferme. Io non dimentico mai quel che mi accadde all' ambasciata iraniana di Roma quando chiesi il visto per recarmi a Teheran, per intervistare Khomeini, e mi presentai con le unghie smaltate di rosso. Per loro, segno di immoralità. Mi trattarono come una prostituta da bruciare sul rogo. Mi ingiunsero di levarlo immediatamente quel rosso. E se non gli avessi detto anzi urlato che cosa gradivo levare, anzi tagliare a loro... Non dimentico nemmeno quel che mi accadde a Qom, la città santa di Khomeini, dove in quanto donna venni respinta da tutti gli alberghi. Per intervistare Khomeini dovevo mettermi il chador, per mettermi il chador dovevo togliermi i blue jeans, per togliermi i blue jeans dovevo appartarmi, e naturalmente avrei potuto effettuare l' operazione nell' automobile con la quale ero giunta da Teheran. Ma l' interprete me lo impedì. Lei-è-pazza, lei-è-pazza, a-fare-una-cosa-simile-a-Qom-si-finisce-fucilati. Preferì portarmi all' ex Palazzo Reale dove un custode pietoso ci ospitò, ci prestò l' ex Sala del Trono. Infatti io mi sentivo come la Madonna che per dare alla luce il Bambin Gesù si rifugia insieme a Giuseppe nella stalla scaldata dall' asino e dal bue. Ma a un uomo e a una donna non sposati fra loro il Corano vieta di appartarsi dietro una porta chiusa, ahimé, e d' un tratto la porta si aprì. Il mullah addetto al Controllo della Moralità irruppe strillando vergogna-vergogna, peccato-peccato, e v' era solo un modo per non finire fucilati: sposarsi. Firmare l' atto di matrimonio a scadenza (quattro mesi) che il mullah ci sventolava sulla faccia. Il guaio è che l' interprete aveva una moglie spagnola, una certa Consuelo per nulla disposta ad accettare la poligamia, e io non volevo sposare nessuno. Tantomeno un iraniano con la moglie spagnola e nient' affatto disposta ad accettare la poligamia. Nel medesimo tempo non volevo finir fucilata ossia perdere l' intervista con Khomeini. In tal dilemma mi dibattevo e... Ridi, ne son certa. Ti sembrano barzellette. Bè, allora il seguito di questo episodio non te lo racconto. Per farti piangere ti racconto quello dei dodici giovanotti impuri che finita la guerra del Bangladesh vidi giustiziare a Dacca.
Li giustiziarono sul campo dello stadio di Dacca, a colpi di baionetta nel torace o nel ventre, e alla presenza di ventimila fedeli che dalle tribune applaudivano in nome di Dio. Tuonavano «Allah akbar, Allah akbar». Lo so, lo so: nel Colosseo gli antichi romani, quegli antichi romani di cui la mia cultura va fiera, si divertivano a veder morire i cristiani dati in pasto ai leoni. Lo so, lo so: in tutti i paesi d' Europa i cristiani, quei cristiani ai quali malgrado il mio ateismo riconosco il contributo che hanno dato alla Storia del Pensiero, si divertivano a veder bruciare gli eretici. Però è trascorso parecchio tempo, siamo diventati un pochino più civili, e anche i figli di Allah dovrebbero aver compreso che certe cose non si fanno. Dopo i dodici giovanotti impuri ammazzarono un bambino che per salvare il fratello condannato a morte s' era buttato sui giustizieri. A lui schiacciarono la testa con gli scarponi da militare. E se non ci credi, bè: rileggi la mia cronaca o la cronaca dei giornalisti francesi e tedeschi che inorriditi quanto me erano lì con me. Meglio: guardati le fotografie che uno di essi scattò. Comunque il punto che mi preme sottolineare non è questo. È che, concluso lo scempio, i ventimila fedeli (molte donne) lasciarono le tribune e scesero nel campo. Non in maniera scomposta, cialtrona, no. In maniera ordinata, solenne. Lentamente composero un corteo e, sempre in nome di Dio, passarono sopra i cadaveri. Sempre tuonando Allah-akbar, Allah-akbar. Li distrussero come le due Torri di New York. Li ridussero a un tappeto sanguinolento di ossa spiaccicate. Oh, potrei continuare all' infinito. Dirti cose mai dette, cose da farti rizzare i capelli in testa. Su quel rimbambito di Khomeini, ad esempio, che dopo l' intervista tenne un comizio a Qom per dichiarare che io lo accusavo di tagliare i seni alle donne. Da tale comizio ricavò un video che per mesi venne trasmesso alla televisione di Teheran sicché, quando l' anno successivo tornai a Teheran, venni arrestata appena scesa dall' aereo. E la vidi brutta, sai, proprio brutta. Era il periodo degli ostaggi americani... potrei parlarti di quel Mujib Rahman che, sempre a Dacca, aveva ordinato ai suoi guerriglieri di eliminarmi in quanto europea pericolosa, e meno male che a rischio della propria vita un colonnello inglese mi salvò. O di quel palestinese di nome Habash che per venti minuti mi fece tenere un mitragliatore puntato alla testa. Dio, che gente! I soli coi quali abbia avuto un rapporto civile restano il povero Alì Bhutto cioè il primo ministro del Pakistan, morto impiccato perché troppo amico dell' Occidente, e il bravissimo re di Giordania: re Hussein. Ma quei due erano musulmani quanto io son cattolica. Comunque voglio darti la conclusione del mio ragionamento. Una conclusione che non piacerà a molti, visto che difendere la propria cultura, in Italia, sta diventando peccato mortale. E visto che intimiditi dall' impropria parola «razzista», tutti tacciono come conigli.
Io non vado a rizzare tende alla Mecca. Io non vado a cantar Paternostri e Avemarie dinanzi alla tomba di Maometto. Io non vado a fare pipì sui marmi delle loro moschee, non vado a fare la cacca ai piedi dei loro minareti. Quando mi trovo nei loro paesi (cosa dalla quale non traggo mai diletto) non dimentico mai d' essere un' ospite e una straniera. Sto attenta a non offenderli con abiti o gesti o comportamenti che per noi sono normali e per loro inammissibili. Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. E questo urlo di dolore e di sdegno io te l' ho scritto avendo dinanzi agli occhi immagini che non sempre mi davano le apocalittiche scene con le quali ho incominciato il discorso. A volte invece di quelle vedevo l' immagine per me simbolica (quindi infuriante) della gran tenda con cui un' estate fa i mussulmani somali sfregiarono e smerdarono e oltraggiarono per tre mesi piazza del Duomo a Firenze. La mia città. Una tenda rizzata per biasimare condannare insultare il governo italiano che li ospitava ma non gli concedeva le carte necessarie a scorrazzare per l' Europa e non gli lasciava portare in Italia le orde dei loro parenti. Mamme, babbi, fratelli, sorelle, zii, zie, cugini, cognate incinte, e magari i parenti dei parenti. Una tenda situata accanto al bel palazzo dell' Arcivescovado sul cui marciapiede tenevano le scarpe o le ciabatte che nei loro paesi allineano fuori dalle moschee. E insieme alle scarpe o le ciabatte, le bottiglie vuote dell' acqua con cui si lavavano i piedi prima della preghiera. Una tenda posta di fronte alla cattedrale con la cupola del Brunelleschi, e a lato del Battistero con le porte d' oro del Ghiberti. Una tenda, infine, arredata come un rozzo appartamentino: sedie, tavolini, chaise-longues, materassi per dormire e per scopare, fornelli per cuocere il cibo e appestare la piazza col fumo e col puzzo.
E, grazie alla consueta incoscienza dell' Enel che alle nostre opere d' arte tiene quanto tiene al nostro paesaggio, fornita di luce elettrica. Grazie a un radio-registratore, arricchita dalla vociaccia sguaiata d' un muezzin che puntualmente esortava i fedeli, assordava gli infedeli, e soffocava il suono delle campane. Insieme a tutto ciò, le gialle strisciate di urina che profanavano i marmi del Battistero. (Perbacco! Hanno la gettata lunga, questi figli di Allah! Ma come facevano a colpire l' obiettivo separato dalla ringhiera di protezione e quindi distante quasi due metri dal loro apparato urinario?) Con le gialle strisciate di urina, il fetore dello sterco che bloccava il portone di San Salvatore al Vescovo: la squisita chiesa romanica (anno Mille) che sta alle spalle di piazza del Duomo e che i figli di Allah avevano trasformato in cacatoio. Lo sai bene. Lo sai bene perché fui io a chiamarti, pregarti di parlarne sul «Corriere», ricordi? Chiamai anche il sindaco che, glielo concedo, venne gentilmente a casa mia. Mi ascoltò, mi dette ragione. «Ha ragione, ha proprio ragione...». Ma la tenda non la tolse. Se ne dimenticò o non gli riuscì. Chiamai anche il ministro degli Esteri che era un fiorentino, anzi uno di quei fiorentini che parlano con l' accento molto fiorentino, nonché coinvolto nella faccenda. E pure lui, glielo concedo, mi ascoltò. Mi dette ragione: «Eh, sì. Ha ragione, sì». Ma per toglier la tenda non mosse un dito e, quanto ai figli di Allah che urinavano sul Battistero e smerdavano San Salvatore al Vescovo, presto li accontentò. (Mi risulta che i babbi e le mamme e i fratelli e le sorelle e gli zii e le zie e i cugini e le cognate incinte ora stiano dove volevano stare). Cioè a Firenze e in altre città d' Europa. Allora cambiai sistema. Chiamai un simpatico poliziotto che dirige l' ufficio-sicurezza e gli dissi: «Caro poliziotto, io non sono un politico. Quando dico di fare una cosa, la faccio. Inoltre conosco la guerra e di certe cose me ne intendo. Se entro domani non levate la fottuta tenda, io la brucio. Giuro sul mio onore che la brucio, che neanche un reggimento di carabinieri riuscirebbe a impedirmelo, e per questo voglio essere arrestata. Portata in galera con le manette. Così finisco su tutti i giornali». Bè, essendo più intelligente degli altri, nel giro di poche ore lui la levò. Al posto della tenda rimase soltanto un' immensa e disgustosa macchia di sudiciume. Però fu una vittoria di Pirro.
Lo fu in quanto non influì per niente sugli altri scempi che da anni feriscono e umiliano quella che era la capitale dell' arte e della cultura e della bellezza, non scoraggiò per niente gli altri arrogantissimi ospiti della città: gli albanesi, i sudanesi, i bengalesi, i tunisini, gli algerini, i pakistani, i nigeriani che con tanto fervore contribuiscono al commercio della droga e della prostituzione a quanto pare non proibito dal Corano. Eh, sì: sono tutti dov' erano prima che il mio poliziotto togliesse la tenda. Dentro il piazzale degli Uffizi, ai piedi della Torre di Giotto. Dinanzi alla Loggia dell' Orcagna, intorno alle Logge del Porcellino. Di faccia alla Biblioteca Nazionale, all' entrata dei musei. Sul Ponte Vecchio dove ogni tanto si pigliano a coltellate o a revolverate. Sui Lungarni dove hanno preteso e ottenuto che il Municipio li finanziasse (Sissignori, li finanziasse). Sul sagrato della Chiesa di San Lorenzo dove si ubriacano col vino e la birra e i liquori, razza di ipocriti, e dove dicono oscenità alle donne. (La scorsa estate, su quel sagrato, le dissero perfino a me che ormai sono un' antica signora. E va da sé che mal gliene incolse. Oooh, se mal gliene incolse! Uno sta ancora lì a mugulare sui suoi genitali). Nelle storiche strade dove bivaccano col pretesto di vender-la-merce. Per merce intendi borse e valige copiate dai modelli protetti da brevetto, quindi illegali, gigantografie, matite, statuette africane che i turisti ignoranti credono sculture del Bernini, roba-da-annusare. («Je connais mes droits, conosco i miei diritti» mi sibilò, sul Ponte Vecchio, uno a cui avevo visto vendere la roba-da-annusare). E guai se il cittadino protesta, guai se gli risponde quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua. «Razzista, razzista!». Guai se camminando tra la merce che blocca il passaggio un pedone gli sfiora la presunta scultura del Bernini. «Razzista, razzista!». Guai se un Vigile Urbano gli si avvicina, azzarda: «Signor figlio di Allah, Eccellenza, le dispiacerebbe spostarsi un capellino e lasciar passare la gente?». Se lo mangiano vivo. Lo aggrediscono col coltello. Come minimo, gli insultano la mamma e la progenie. «Razzista, razzista!». E la gente sopporta, rassegnata. Non reagisce nemmeno se gli gridi ciò che il mio babbo urlava durante il fascismo: «Ma non ve ne importa nulla della dignità? Non ce l' avete un po' d' orgoglio, pecoroni?». Succede anche nelle altre città, lo so. A Torino, per esempio. Quella Torino che fece l' Italia e che ormai non sembra nemmeno una città italiana. Sembra Algeri, Dacca, Nairobi, Damasco, Beirut. A Venezia.
Quella Venezia dove i piccioni di piazza San Marco sono stati sostituiti dai tappetini con la «merce» e perfino Otello si sentirebbe a disagio. A Genova. Quella Genova dove i meravigliosi palazzi che Rubens ammirava tanto sono stati sequestrati da loro e deperiscono come belle donne stuprate. A Roma. Quella Roma dove il cinismo della politica d' ogni menzogna e d' ogni colore li corteggia nella speranza d' ottenerne il futuro voto, e dove a proteggerli c' è lo stesso Papa. (Santità, perché in nome del Dio Unico non se li prende in Vaticano? A condizione che non smerdino anche la Cappella Sistina e le statue di Michelangelo e i dipinti di Raffaello: sia chiaro). Mah! Ora son io che non capisco. Anziché figli-di-Allah in Italia li chiamano «lavoratori stranieri». Oppure «mano-d' opera-di-cui-v' è-bisogno». E sul fatto che alcuni di loro lavorino, non ho alcun dubbio. Gli italiani son diventati talmente signorini. Vanno in vacanza alle Seychelles, vengon a New York per comprare i lenzuoli da Bloomingdale' s. Si vergognano a fare gli operai e i contadini, e non puoi più associarli col proletariato. Ma quelli di cui parlo, che lavoratori sono? Che lavoro fanno? In che modo suppliscono al bisogno della mano d' opera che l' ex proletariato italiano non fornisce più? Bivaccando nella città col pretesto della merce-da-vendere? Bighellonando e deturpando i nostri monumenti? Pregando cinque volte al giorno? E poi c' è un' altra cosa che non capisco. Se davvero son tanto poveri, chi glieli dà i soldi per il viaggio sulla nave o sul gommone che li porta in Italia? Chi glieli dà i dieci milioni a testa (come minimo dieci milioni) necessari a comprarsi il biglietto? Non glieli darà mica Usama Bin Laden allo scopo d' avviare una conquista che non è solo una conquista di anime, è anche una conquista di territorio? Bè, anche se non glieli dà, questa faccenda non mi convince. Anche se i nostri ospiti sono assolutamente innocenti, anche se fra loro non c' è nessuno che vuole distruggermi la Torre di Pisa o la Torre di Giotto, nessuno che vuol mettermi il chador, nessuno che vuol bruciarmi sul rogo di una nuova Inquisizione, la loro presenza mi allarma. Mi incute disagio. E sbaglia chi questa faccenda la prende alla leggera o con ottimismo. Sbaglia, soprattutto, chi paragona l' ondata migratoria che s' è abbattuta sull' Italia e sull' Europa con l' ondata migratoria che si rovesciò sull' America nella seconda metà dell' Ottocento anzi verso la fine dell' Ottocento e all' inizio del Novecento. Ora ti dico perché. Non molto tempo fa mi capitò di captare una frase pronunciata da uno dei mille presidenti del Consiglio di cui l' Italia s' è onorata in pochi decenni. «Eh, anche mio zio era un emigrante! Io lo ricordo mio zio che con la valigetta di fibra partiva per l' America!». O qualcosa del genere. Eh, no, caro mio. No. Non è affatto la stessa cosa. E non lo è per due motivi abbastanza semplici. Il primo è che nella seconda metà dell' Ottocento l' ondata migratoria in America non avvenne in maniera clandestina e per prepotenza di chi la effettuava. Furono gli americani stessi a volerla, sollecitarla. E per un preciso atto del Congresso. «Venite, venite, ché abbiamo bisogno di voi. Se venite, vi si regala un bel pezzo di terra». Ci hanno fatto anche un film, gli americani. Quello con Tom Cruise e Nicole Kidman, e del quale m' ha colpito il finale. La scena dei disgraziati che corrono per piantare la bandierina bianca sul terreno che diventerà loro, sicché solo i più giovani e i più forti ce la fanno. Gli altri restano con un palmo di naso e alcuni nella corsa muoiono. Ch' io sappia, in Italia non c' è mai stato un atto del Parlamento che invitasse anzi sollecitasse i nostri ospiti a lasciare i loro paesi.
Venite-venite-ché-abbiamo-tanto-bisogno-di-voi, se-venite-vi-regaliamo-il-poderino-nel-Chianti. Da noi ci sono venuti di propria iniziativa, coi maledetti gommoni e in barba ai finanzieri che cercavano di rimandarli indietro. Più che d' una emigrazione s' è trattato dunque d' una invasione condotta all' insegna della clandestinità. Una clandestinità che disturba perché non è mite e dolorosa. È arrogante e protetta dal cinismo dei politici che chiudono un occhio e magari tutti e due. Io non dimenticherò mai i comizi con cui l' anno scorso i clandestini riempiron le piazze d' Italia per ottenere i permessi di soggiorno. Quei volti distorti, cattivi. Quei pugni alzati, minacciosi. Quelle voci irose che mi riportavano alla Teheran di Khomeini. Non li dimenticherò mai perché mi sentivo offesa dalla loro prepotenza in casa mia, e perché mi sentivo beffata dai ministri che ci dicevano: «Vorremmo rimpatriarli ma non sappiamo dove si nascondono». Stronzi! In quelle piazze ve n' erano migliaia, e non si nascondevano affatto. Per rimpatriarli sarebbe bastato metterli in fila, prego-gentile-signore-s' accomodi, e accompagnarli ad un porto od aeroporto. Il secondo motivo, caro nipote dello zio con la valigetta di fibra, lo capirebbe anche uno scolaro delle elementari. Per esporlo bastano un paio di elementi. Uno: l' America è un continente. E nella seconda metà dell' Ottocento cioè quando il Congresso Americano dette il via all' immigrazione, questo continente era quasi spopolato. Il grosso della popolazione si condensava negli stati dell' Est ossia gli stati dalla parte dell' Atlantico, e nel Mid-West c' era ancora meno gente. La California era quasi vuota. Beh, l' Italia non è un continente. È un paese molto piccolo e tutt' altro che spopolato. Due: l' America è un paese assai giovane. Se pensi che la Guerra d' Indipendenza si svolse alla fine del 1700, ne deduci che ha appena duecento anni e capisci perché la sua identità culturale non è ancora ben definita.
L' Italia, al contrario, è un paese molto vecchio. La sua storia dura da almeno tremila anni. La sua identità culturale è quindi molto precisa e bando alle chiacchiere: non prescinde da una religione che si chiama religione cristiana e da una chiesa che si chiama Chiesa Cattolica. La gente come me ha un bel dire: io-con-la-chiesa-cattolica-non-c' entro. C' entro, ahimé c' entro. Che mi piaccia o no, c' entro. E come farei a non entrarci? Sono nata in un paesaggio di chiese, conventi, Cristi, Madonne, Santi. La prima musica che ho udito venendo al mondo è stata la musica della campane. Le campane di Santa Maria del Fiore che all' Epoca della Tenda la vociaccia sguaiata del muezzin soffocava. È in quella musica, in quel paesaggio, che sono cresciuta. È attraverso quella musica e quel paesaggio che ho imparato cos' è l' architettura, cos' è la scultura, cos' è la pittura, cos' è l' arte. È attraverso quella chiesa (poi rifiutata) che ho incominciato a chiedermi cos' è il Bene, cos' è il Male, e perdio... Ecco: vedi? Ho scritto un' altra volta «perdio». Con tutto il mio laicismo, tutto il mio ateismo, son così intrisa di cultura cattolica che essa fa addirittura parte del mio modo d' esprimermi. Oddio, mioddio, graziaddio, perdio, Gesù mio, Dio mio, Madonna mia, Cristo qui, Cristo là. Mi vengon così spontanee, queste parole, che non m' accorgo nemmeno di pronunciarle o di scriverle. E vuoi che te la dica tutta? Sebbene al cattolicesimo non abbia mai perdonato le infamie che m' ha imposto per secoli incominciando dall' Inquisizione che m' ha pure bruciato la nonna, povera nonna, sebbene coi preti io non ci vada proprio d' accordo e delle loro preghiere non sappia proprio che farne, la musica delle campane mi piace tanto. Mi accarezza il cuore. Mi piacciono pure quei Cristi e quelle Madonne e quei Santi dipinti o scolpiti. Infatti ho la mania delle icone. Mi piacciono pure i monasteri e i conventi. Mi danno un senso di pace, a volte invidio chi ci sta. E poi ammettiamolo: le nostre cattedrali son più belle delle moschee e delle sinagoghe. Si o no? Sono più belle anche delle chiese protestanti. Guarda, il cimitero della mia famiglia è un cimitero protestante. Accoglie i morti di tutte le religioni ma è protestante. E una mia bisnonna era valdese. Una mia prozia, evangelica.
La bisnonna valdese non l' ho conosciuta. La prozia evangelica, invece, sì. Quand' ero bambina mi portava sempre alle funzioni della sua chiesa in via de' Benci a Firenze, e... Dio, quanto m' annoiavo! Mi sentivo talmente sola con quei fedeli che cantavano i salmi e basta, quel prete che non era un prete e leggeva la Bibbia e basta, quella chiesa che non mi sembrava una chiesa e che a parte un piccolo pulpito aveva un gran crocifisso e basta. Niente angeli, niente Madonne, niente incenso... Mi mancava perfino il puzzo dell' incenso, e avrei voluto trovarmi nella vicina basilica di Santa Croce dove queste cose c' erano. Le cose cui ero abituata. E aggiungo: nella mia casa di campagna, in Toscana, v' è una minuscola cappella. Sta sempre chiusa. Dacché la mamma è morta non ci va nessuno. Però a volte ci vado, a spolverare, a controllare che i topi non ci abbiano fatto il nido, e nonostante la mia educazione laica mi ci trovo a mio agio. Nonostante il mio mangiapretismo, mi ci muovo con disinvoltura. E credo che la stragrande maggioranza degli italiani ti confesserebbe la medesima cosa. (A me la confessò Berlinguer). Santiddio! (Ci risiamo). Sto dicendoti che noi italiani non siamo nelle condizioni degli americani: mosaico di gruppi etnici e religiosi, guazzabuglio di mille culture, nel medesimo tempo aperti ad ogni invasione e capaci di respingerla. Sto dicendoti che, proprio perché è definita da molti secoli e molto precisa, la nostra identità culturale non può sopportare un' ondata migratoria composta da persone che in un modo o nell' altro vogliono cambiare il nostro sistema di vita. I nostri valori. Sto dicendoti che da noi non c' è posto per i muezzin, per i minareti, per i falsi astemi, per il loro fottuto Medioevo, per il loro fottuto chador. E se ci fosse, non glielo darei. Perché equivarrebbe a buttar via Dante Alighieri, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Raffaello, il Rinascimento, il Risorgimento, la libertà che ci siamo bene o male conquistati, la nostra Patria. Significherebbe regalargli l' Italia. E io l' Italia non gliela regalo.
Io sono italiana. Sbagliano gli sciocchi che mi credono ormai americana. Io la cittadinanza americana non l' ho mai chiesta. Anni fa un ambasciatore americano me la offrì sul Celebrity Status, e dopo averlo ringraziato gli risposi: «Sir, io all' America sono assai legata. Ci litigo sempre, la rimprovero sempre, eppure le sono profondamente legata. L' America è per me un amante anzi un marito al quale resterò sempre fedele. Ammesso che non mi faccia le corna. Voglio bene a questo marito. E non dimentico mai che se non si fosse scomodato a fare la guerra a Hitler e Mussolini, oggi parlerei tedesco. Non dimentico mai che se non avesse tenuto testa all' Unione Sovietica, oggi parlerei russo. Gli voglio bene e m' è simpatico. Mi piace ad esempio il fatto che quando arrivo a New York e porgo il passaporto col Certificato di Residenza, il doganiere mi dica con un gran sorriso: Welcome home. Benvenuta a casa. Mi sembra un gesto così generoso, così affettuoso. Inoltre mi ricorda che l' America è sempre stata il Refugium Peccatorum della gente senza patria. Ma io la patria ce l' ho già, Sir. La mia Patria è l' Italia, e l' Italia è la mia mamma. Sir, io amo l' Italia. E mi sembrerebbe di rinnegare la mia mamma a prendere la cittadinanza americana». Gli risposi anche che la mia lingua è l' italiano, che in italiano scrivo, che in inglese mi traduco e basta. Nello stesso spirito in cui mi traduco in francese, cioè sentendolo una lingua straniera. E poi gli risposi che quando ascolto l' Inno di Mameli mi commuovo. Che a udire quel Fratelli-d' Italia, l' Italia-s' è-desta, parapà-parapà-parapà, mi viene il nodo alla gola. Non mi accorgo nemmeno che come inno è bruttino. Penso solo: è l' inno della mia Patria. Del resto il nodo alla gola mi vien pure a guardare la bandiera bianca rossa e verde che sventola. Teppisti degli stadi a parte, s' intende. Io ho una bandiera bianca rossa e verde dell' Ottocento. Tutta piena di macchie, macchie di sangue, tutta rosa dai topi. E sebbene al centro vi sia lo stemma sabaudo (ma senza Cavour e senza Vittorio Emanuele II e senza Garibaldi che a quello stemma si inchinò noi l' Unità d' Italia non l' avremmo fatta), me la tengo come l' oro. La custodisco come un gioiello. Siamo morti per quel tricolore, Cristo! Impiccati, fucilati, decapitati.
Ammazzati dagli austriaci, dal Papa, dal Duca di Modena, dai Borboni. Ci abbiamo fatto il Risorgimento, col quel tricolore. E l' Unità d' Italia, e la guerra sul Carso, e la Resistenza. Per quel tricolore il mio trisnonno materno Giobatta combatté a Curtatone e Montanara, rimase orrendamente sfregiato da un razzo austriaco. Per quel tricolore i miei zii paterni sopportarono ogni pena dentro le trincee del Carso. Per quel tricolore mio padre venne arrestato e torturato a Villa Triste dai nazi-fascisti. Per quel tricolore la mia intera famiglia fece la Resistenza e l' ho fatta anch' io. Nelle file di Giustizia e Libertà, col nome di battaglia Emilia. Avevo quattordici anni. Quando l' anno dopo mi congedarono dall' Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, mi sentii così fiera. Gesummaria, ero stata un soldato italiano! E quando venni informata che col congedo mi spettavano 14.540 lire, non sapevo se accettarle o no. Mi pareva ingiusto accettarle per aver fatto il mio dovere verso la Patria. Poi le accettai. In casa eravamo tutti senza scarpe. E con quei soldi ci comprai le scarpe per me e per le mie sorelline. Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l' Italia d' oggi. L' Italia godereccia, furbetta, volgare degli italiani che pensano solo ad andare in pensione prima dei cinquant' anni e che si appassionano solo per le vacanze all' estero o le partite di calcio. L' Italia cattiva, stupida, vigliacca, delle piccole iene che pur di stringere la mano a un divo o una diva di Hollywood venderebbero la figlia a un bordello di Beirut ma se i kamikaze di Usama Bin Laden riducono migliaia di newyorchesi a una montagna di cenere che sembra caffè macinato sghignazzan contenti bene-agli-americani-gli-sta-bene. L' Italia squallida, imbelle, senz' anima, dei partiti presuntuosi e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di ministro o di sindaco. L' Italia ancora mussolinesca dei fascisti neri e rossi che ti inducono a ricordare la terribile battuta di Ennio Flaiano: «In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti».
Non è nemmeno l' Italia dei magistrati e dei politici che ignorando la consecutio-temporum pontificano dagli schermi televisivi con mostruosi errori di sintassi. (Non si dice «Credo che è»: animali! Si dice «Credo che sia»). Non è nemmeno l' Italia dei giovani che avendo simili maestri affogano nell' ignoranza più scandalosa, nella superficialità più straziante, nel vuoto. Sicché agli errori di sintassi loro aggiungono gli errori di ortografia e se gli domandi chi erano i Carbonari, chi erano i liberali, chi era Silvio Pellico, chi era Mazzini, chi era Massimo D' Azeglio, chi era Cavour, chi era Vittorio Emanuele II, ti guardano con la pupilla spenta e la lingua pendula. Non sanno nulla al massimo sanno recitare la comoda parte degli aspiranti terroristi in tempo di pace e di democrazia, sventolare le bandiere nere, nasconder la faccia dietro i passamontagna, i piccoli sciocchi. Gli inetti. E tantomeno è l' Italia delle cicale che dopo aver letto questi appunti mi odieranno per aver scritto la verità. Tra una spaghettata e l' altra mi malediranno, mi augureranno d' essere uccisa dai loro protetti cioè da Usama Bin Laden. No, no: la mia Italia è un' Italia ideale. È l' Italia che sognavo da ragazzina, quando fui congedata dall' Esercito Italiano-Corpo Volontari della Libertà, ed ero piena di illusioni. Un' Italia seria, intelligente, dignitosa, coraggiosa, quindi meritevole di rispetto. E quest' Italia, un' Italia che c' è anche se viene zittita o irrisa o insultata, guai a chi me la tocca. Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Perché, che a invaderla siano i francesi di Napoleone o gli austriaci di Francesco Giuseppe o i tedeschi di Hitler o i compari di Usama Bin Laden, per me è lo stesso. Che per invaderla usino i cannoni o i gommoni, idem. Col che ti saluto affettuosamente, caro il mio Ferruccio, e t' avverto: non chiedermi più nulla. Meno che mai, di partecipare a risse o a polemiche vane. Quello che avevo da dire l' ho detto. La rabbia e l' orgoglio me l' hanno ordinato. La coscienza pulita e l' età me l' hanno consentito. Ma ora devo rimettermi a lavorare, non voglio essere disturbata. Punto e basta.



fonte: spring-street.blogspot.com
 
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Bkkjuve
view post Posted on 12/10/2010, 06:42     +1   +1   -1




Guardatevi questo documentario http://www.cineblog01.com/film/11-settembr...no-globale-2008 vi fara' quantomeno sorgere tremendi dubbi e vi fara' sorgere il sospetto che spesso e volentieri quello che sappiamo non e' altro quello che hanno deciso di farci sapere...la verita' e tutt'altra cosa , in particolare quando ci sono di mezzo coloro che hanno una bandiera a stelle strisce e si credono i padroni del mondo .
 
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TerryTerry
view post Posted on 11/9/2011, 09:43     +1   -1




11 settembre 2011

10/09/2011 - 11/9 DIECI ANNI DOPO


Ecco perché ancora oggi siamo tutti un po' americani


"Siamo tutti altrettanto vulnerabili"

JEAN-MARIE COLOMBANI




Non mancheranno le commemorazioni per guardare ai 10 anni che ci separano dall’attentato di New York e che hanno segnato l’ingresso nel XXI secolo sotto l’ombra sinistra del terrorismo. La prima cosa che colpisce, al di là della felice coincidenza che ha fatto che Bin Laden fosse ucciso dieci anni dopo, segnando la fine di un ciclo, è che con l’America non si tratta. el 2001 eravamo ancora presi dal celebrare gli uni e detestare gli altri, nel periodo del super potere americano, come lo ha definito Hubert Védrine. La Russia, dopo la caduta dell'impero sovietico, era la meno considerata e i Paesi detti emergenti iniziavano appena ad emergere. Ma soprattutto l’economia americana guidava l’economia mondiale. Nel 2011 chi non si rende conto che gli Usa sono indeboliti? L’economia americana non ha soltanto perso il suo status, ma appare l’anello più debole di questa crisi.

Non solo perché la ripresa non è alle porte e la disoccupazione ha raggiunto proporzioni drammatiche, ma anche perché l’opportunità di crescita è nulla e la crisi di governo sofferta, grave. Il recente compromesso sull’innalzamento del tetto del debito ha mostrato un sistema politico sull’orlo della paralisi. È altrettanto sorprendente constatare, 10 anni dopo, che non sono stati i terroristi di Al Qaeda a indebolire l’America, ma l’America stessa si è indebolita cedendo all’avidità e alle follie di un sistema finanziario sregolato e irresponsabile. Quando si volta lo sguardo al passato, non si può non ricordare il passo falso, che è parte della crisi attuale, fatto dagli Stati Uniti: la guerra in Iraq. Inizialmente, dopo l’attentato, gli Stati Uniti hanno beneficiato di una solidarietà pressoché universale che si è tradotta nell’adesione da parte di un gran numero di Stati al lancio delle operazioni in Afghanistan. Queste missioni erano questione di legittima difesa, dal momento che i Talebani avevano offerto a Al Qaeda un sostegno senza il quale una tale organizzazione non sarebbe stata possibile.

Tuttavia, invece di concentrarsi su questo obiettivo e spostare la propria attenzione sul Pakistan, altro epicentro del terrorismo modello Al Qaeda, George Bush ha deciso di intervenire in Iraq. Al prezzo di una menzogna di Stato - la presunta esistenza di armi di distruzione di massa - e anche al prezzo di un’ondata di antiamericanismo, terreno fertile per il reclutamento di nuove ondate di terroristi, e naturalmente di un numero esorbitante di civili morti a causa del caos che regna in Iraq da diversi anni. Gli Stati Uniti ne sono usciti indeboliti moralmente, ma anche economicamente, tant’è vero che una parte significativa del debito americano ha come origine lo sforzo militare sostenuto in quegli anni. La storia, senza ombra di dubbio, sarebbe stata totalmente diversa, e gli Stati Uniti meno deboli, se George Bush non avesse preso questa decisione disastrosa.

È chiaro che Barack Obama ha restaurato il mito americano e restituito agli Stati Uniti un’immagine positiva, ma ora è intrappolato nella gestione della crisi, che gli impone di operare una gestione strategica. È la dottrina della «leadership nell’ombra», che è un modo elegante per teorizzare un relativo declino. La strategia dei leader europei, francesi e inglesi in testa, sulla scena libica è stata quella di farsi intermediari, occupando lo spazio lasciato libero dagli Stati Uniti e dando un’indicazione strategica importante per il futuro: è chiaro che gli Usa continueranno a disinteressarsi militarmente all’Europa e alle sue periferie. La nuova situazione ci costringerà a mettere in piedi una vera difesa europea, che non potrà davvero esistere fino a quando non ci sarà un accordo tra Francia e Gran Bretagna.

Ma, al tempo stesso, ci sono elementi di contraddizione e di conflitto con gli Stati Uniti legati alla crisi stessa. Se è vero che non ne usciremo fin quando tutti i paesi del G20 non si saranno accordati per regolare i mercati, si gioca intanto una partita decisiva tra gli Stati Uniti e la città di Londra da un lato e l’Europa e la zona euro dall’altro. Da parte di un certo numero di istituzioni e di speculatori, infatti, si farà di tutto per escludere l’euro, che sta minacciando la supremazia del dollaro. Gli Stati Uniti, a causa di una politica del dollaro debole, agiscono oggi come hanno fatto nel 1990 a spese del Giappone e dello yen. Sta a noi europei evitare di cadere in questa trappola dalla quale, a 20 anni di distanza, il Giappone non è ancora uscito.

Tutto questo ci allontana dall’11 settembre 2001, da quell’enorme choc. Dobbiamo quindi ricordarci, per salvare l’essenziale, di rimanere fedeli, al di là di tutte queste peripezie, alla solidarietà transatlantica. La difesa della libertà, la solidarietà indispensabile al di là della pietà provocata dall’attentato stesso e dal numero delle vittime: ecco perché, la sera dell’11 settembre 2001 noi eravamo «tutti americani»! Ma non soltanto: la formula si può estendere anche per la presa di coscienza improvvisa che tutti ci trovavamo nella stessa condizione e cioé tutti altrettanto vulnerabili.

Qual era in realtà la situazione all’epoca? Gli Stati Uniti erano la potenza che ci aveva liberato dai due totalitarismi del XX secolo: nazismo e comunismo. E, dalla caduta del muro di Berlino, godevano dell'aureola che derivava loro dal crollo del sistema sovietico. Fu così che allora Francis Fukuyama poté teorizzare «la fine della storia». Può darsi che le sue teorie e la situazione strategica che si era venuta a creare abbia indotto gli americani a considerarsi invulnerabili. Lo choc dell’11 settembre resterà come il ritorno della Storia che, come diceva Raymond Aron, è tragico. Anche per queste ragioni il sentimento di profonda solidarietà che provammo allora varrebbe ancora oggi se ci dovessimo ritrovare nelle stesse circostanze.



lastampa.it
 
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MattyRibasDaCunha
view post Posted on 11/9/2011, 10:18     +1   +1   -1




Ho una foto sempre in mente di una persona che si butta dalla finestra..è agghiacciante
 
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~Neymar11™•
view post Posted on 11/9/2011, 11:10     +1   -1




CITAZIONE (Abbott_Juve @ 11/9/2010, 14:08) 
CITAZIONE (zebrone84 @ 11/9/2010, 01:19)
Io ridico sempre le stesse cose, la causa di tutto questo è sempre quella religione lì, fino a quando non aboliranno quella religione, succederanno sempre queste cose...

La favoletta dei terroristi islamici che da soli organizzano un attentato di simili proporzioni aggirando CIA, FBI, NSA e tutti gli organismi di intelligence internazionali ormai non è più credibile per nessuno.

Comunque, tralasciando questa questione, oggi bisogna solo ricordare le vittime di quel giorno. Uno di quei giorni in cui si ricorderà per sempre dove e come si apprese la notizia (io stavo andando a Monaco di Baviera ed ero in un hotel a Rosenheim, lo ricordo come se fosse ieri).

:sisi:
 
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MrKrinkle
view post Posted on 11/9/2011, 14:19     +1   -1




CITAZIONE (zebrone84 @ 11/9/2010, 01:19) 
Io ridico sempre le stesse cose, la causa di tutto questo è sempre quella religione lì, fino a quando non aboliranno quella religione, succederanno sempre queste cose...

Ma che ragionamento è? E' come se io dicessi che va abolito il cristianesimo per via delle crociate.
Il problema non è la religione, quanto chi la amministra e la interpreta, ovvero i Talebani. Ah e ovviamente i soldi.
 
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MrKrinkle
view post Posted on 12/9/2011, 00:10     +1   -1




Interessante (anche se agghiacciante) vedere come è stato organizzata la guerra in Iraq.
Lo stanno facendo vedere su La7 adesso, una cosa agghiacciante.
 
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23 replies since 10/9/2010, 23:27   463 views
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