| Sabato scorso è partito da Amsterdam il 93° Giro d'Italia. Tranquilli avete letto bene, Amsterdam, Olanda. E sempre in Olanda si corrono la seconda e la terza tappa. Ormai è una prassi consolidata correre alcune tappe fuori dai confini nazionali. Tuttavia ci saremmo aspettati che, in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, si preferisse correre esclusivamente sulle strade italiane. In fondo il ciclismo è lo sport popolare per antonomasia, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale il passaggio del Giro era atteso dalla gente con grande entusiasmo. Il Giro ha contribuito ad unire una Nazione uscita a pezzi dalla guerra. Molti scrittori hanno seguito il Giro raccontando sì le gesta degli atleti, ma soprattutto raccontando la gente ed i posti raggiunti dalla corsa. Tra gli altri, ricordiamo in particolare Buzzati e Pratolini. E' evidente che il Giro non ha più quella funzione sociale, nel corso degli anni si è trasformato da grande evento sportivo (mitiche le rivalità tra Coppi e Bartali, passando poi attraverso il regno del cannibale Merckx, fino ad arrivare alla rivalità Saronni-Moser) ad evento principalmente mediatico. Con Moser e Saronni è finito il ciclismo "artigianale", si è arrivati alla programmazione meticolosa di ogni aspetto, e soprattutto è arrivata la televisione e con essa gli sponsor. E con gli sponsor si è arrivati alla mercificazione di ogni aspetto, anche le tappe vengono "vendute". L'arrivo e la partenza di tappa hanno un loro costo, le città che sono disposte a pagare ottengono il Giro, le altre possono tranquillamente guardarlo in TV.
Non stupisce quindi che negli ultimi anni si siano sempre di più disegnate delle tappe con frequenti sconfinamenti. RCS ha trasformato il Giro da una gara ciclistica in un prodotto da vendere. Ed il disegno delle tappe non ha ormai nulla di romantico e nostalgico, si passa dove si è disposti a pagare! Con buona pace dello sport e dell'etica. Etica che tuttavia la Gazzetta sparge a piene mani per bacchettare ora questo ora quello. Ma mai abbiamo letto articoli al vetriolo per stigmatizzare il decadimento morale del Giro d'Italia, mai abbiamo letto "Palazzo di vetro" chiedere l'assegnazione del titolo di vincitore al secondo classificato quando si è scoperto che il primo aveva barato. Nel più classico stile rosa, si stigmatizzano le "paglie" negli occhi altrui e si nascondono le "travi" nei propri occhi. Ma è ormai chiaro che il Giro d'Italia, quello di Coppi e Bartali, quello di Magni ed Adorni, quello di Saronni e Moser, fino ad arrivare a quello di Pantani (Pantani che è stato massacrato mediaticamente dalla Gazzetta, salvo poi produrre dei DVD celebrativi), è morto: chiamatelo "RCS Race Expo", non uccidete anche il ricordo di quello che era il vero Giro d'Italia.
Ju29ro.com
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