Dal palo di Verona alla panchina dell’altra sera allo Stadium contro il Parma sono trascorsi 45 giorni buoni. Un mese e mezzo utile a prendere confidenza con l’aria che tira in casa dei campioni d’Italia, iniziando a sudare come probabilmente mai fatto prima in stagione e tornando a dare del tu al pallone. Ma in questo lasso di tempo, al netto degli apprezzamenti per l’indubitabile impegno dell’attaccante italo-argentino, un dubbio ha cominciato a correre lungo la schiena del popolo bianconero: ma Pablo Daniel Osvaldo è da Juve o no? Perché non bastano, non possono bastare i due gol equamente distribuiti fra Torino e Trebisonda al tramonto del mese di febbraio per seminare ottimismo tra le pieghe di un ambiente sì accogliente, ma pure esigente. E forse, magari, c’è bisogno di sparpagliare altre gemme lungo il percorso zebrato, tali da azzerare le velleità altrui. Probabilmente basterebbe qualche porta gonfiata in più, a patto di non esagerare in tacchi e tacchettini, roba che Antonio Conte non tollererebbe neppure sotto tortura.

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