Situazione preoccupante per l' Italia.

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TerryTerry
view post Posted on 26/5/2010, 12:43     +1   -1




ROMA - L'Italia ha il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano. Si chiamano Neet (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, ha il primato europeo. Hanno un'età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. Lo denuncia l'Istat nel rapporto annuale presentato oggi. Questi giovani sono coinvolti nell'area dell'inattività (65,8%). Il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126 mila in più, concentrati al nord (+85 mila) e al centro (+27 mila). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Fra i Neet si trovano anche laureati (21% della classe di età) e diplomati (20,2%). E' un fenomeno in crescita; nel 2007 (dati Ocse), l'Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% dell'Ue). Chi sono i giovani Neet? Sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009 la probabilità di rimanere nella condizione di Neet è stata del 73,3% (l'anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi residenti al nord. Alla più elevata permanenza nello stato di Neet si accompagna anche un incremento del flusso in entrata di questa condizione degli studenti non occupati (dal 19,9% al 21,4%) ed una diminuzione delle uscite verso l'occupazione.

FIGLI NON PIU' BAMBOCCIONI, FORZATI VIVERE CON GENITORI
- A casa con mamma e papà ma non più per scelta né per piacere. I 'bamboccioni' lasciano il posto ai conviventi forzati con i genitori, costretti dai problemi economici. Nonostante le aspirazioni, i 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (dall'11,8% al 28,9% del 2009). Rilevante è anche la crescita dei 25-29enni, dal 34,5% al 59,2%.

Nel complesso, i celibi e le nubili fra i 18 e 34 anni che vivono con i genitori sono passati dal 49% al 58,6%. L'Istat, nel rapporto annuale, afferma che in sei anni (dal 2003 al 2009) sono calati di ben nove punti i giovani (18-34 anni) che per scelta vogliono vivere nella casa dei genitori: la prolungata convivenza dei figli con genitori dipende soprattutto da questioni economiche (40,2%) e dalla necessità di proseguire gli studi (34%); la scelta vera e propria arriva solo come terza battuta (31,4%), era la prima qualche anno fa. In particolare, la percentuale di giovani che dichiara di voler uscire dalla famiglia di origine nei prossimi tre anni cresce dal 45,1% del 2003 al 51,9% del 2009, aumentando di più tra i 20-29 anni che tra i 30-34 anni. Il calo è registrato soprattutto nelle zone più ricche del Paese (-16 punti nel nord-est e -13 nel nord-ovest), dove la propensione ad essere 'bamboccioni' era maggiormente segnata nel passato. Tra le motivazioni economiche, spiccano le difficoltà nel trovare casa (26,5%) e quella di trovare lavoro (21%).

VERSO CONSOLIDAMENTO RIPRESA, MA NON PER COSTRUZIONI - La ripresa si avvia verso una fase di "progressivo consolidamento" nei prossimi mesi in tutti i settori "ad eccezione delle costruzioni" che restano a picco, in Italia così come in altri Paesi europei quali Francia e Spagna. Lo afferma il Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del Paese nel 2009, avvertendo tuttavia che il recupero dei livelli pre-crisi, a partire dalla produzione industriale, non sarà rapido. Il settore delle costruzioni, fortemente colpito dalla recessione, non mostra segnali di recupero e anzi, dice l'Istat, "non sembra avere ancora toccato il minimo ciclico": per i Paesi dell'Unione monetaria a gennaio-febbraio 2010 l'indice ha segnato un calo congiunturale del 2,9% sul bimestre precedente.

DA UE 400 MLD A FAMIGLIE E IMPRESE IN BIENNIO CRISI - Nel biennio 2008-2009 i paesi europei hanno destinato risorse per circa 400 miliardi di euro, ossia il 3% del Pil dell'Ue, a imprese e famiglie. E' uno dei dati contenuti nel Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del Paese, in cui da un lato si riconosce che la recessione ha avuto una durata "relativamente breve" - circa un anno, tra la primavera 2008 e la primavera 2009 - anche grazie ad un intervento di "contenimento senza precedenti da parte delle autorità di governo". Dall'altro, tuttavia, sottolinea ancora il Rapporto, le misure anti-crisi hanno spinto in alto la spesa e provocato "un notevole peggioramento a medio termine dei conti pubblici".

IN ITALIA PRESSIONE FISCALE A 43,2%, SALE STACCO UE - La pressione fiscale in Italia è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all'anno precedente (42,9% nel 2008) e ampliando lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue che l'anno scorso si è attestata al 39,5% (dal 40,3% del 2008). E' quanto si evince dal Rapporto annuale dell'Istat. "Caso unico" tra le grandi economie, sottolinea l'Istituto nazionale di statistica, nel Paese risultano in forte crescita le imposte in conto capitale (per quasi 12 miliardi di euro), sospinte da circa 5 miliardi di euro per il cosiddetto 'scudo fiscale' e dal versamento una tantum per l'imposta sostitutiva di alcuni tributi. E' invece calato del 4,2% il gettito delle imposte indirette (già diminuito del 4,9% nel 2008), del 7,1% quello delle imposte dirette e dello 0,5% quello dei contributi sociali effettivi.

POTERE ACQUISTO SCIVOLATO SOTTO LIVELLO INIZIO 2000 - Nel 2009 il potere d'acquisto pro capite italiano è scivolato sotto il livello del 2000. Lo rileva il Rapporto annuale dell'Istat presentato oggi alla Camera. In particolare, al netto dell'effetto dell'aumento di popolazione, la discesa del potere d'acquisto delle famiglie è stata di circa 3 punti percentuali in un biennio, "con un profilo simile a quanto accaduto nella crisi del 1992-93". La riduzione del reddito pro capite nel 2009 è risultata del 2,3% rispetto al 2000 che, in altri termini, è corrisposto ad una perdita di oltre 300 euro per abitante ai prezzi del 2000. I consumi, tuttavia, ne hanno risentito comparativamente meno perché contestualmente si è registrata una riduzione della propensione al risparmio, scesa al 14% dal 14,7% del 2008, al di sotto dei livelli di tutte le altre maggiori economie dei paesi dell'Unione monetaria.

15% FAMIGLIE IN DISAGIO ECONOMICO, UNA SU 4 AL SUD
- Oltre il 15% delle famiglie vive in condizioni di disagio economico, con una percentuale che supera il 25% nel Mezzogiorno; una su tre non riesce a sostenere spese impreviste, quasi una su due non può permettersi una settimana di ferie lontano da casa, mentre ci si indebita sempre più. E' la fotografia scattata dal Rapporto annuale dell'Istat sulla situazione del Paese nel 2009, presentato oggi alla Camera. La crisi, tuttavia - viene evidenziato - ha colpito le famiglie che già stavano peggio, tanto che la maggior parte (il 60%) di quelle in condizioni di disagio economico lo era già nel 2008. Da un lato, infatti, la percentuale delle cosiddette famiglie 'deprivate' risulta essere nel 2009 pari al 15,3%, un valore sintetico sostanzialmente stabile rispetto all'anno precedente. Ma scorrendo le singoli voci di disagio, tra il 2008 e il 2009 si nota come sia cresciuto il numero delle famiglie indifese nel far fronte a spese impreviste (passate dal 32% al 33,4% nella media nazionale), quelle in arretrato col pagamento di debiti diversi dal mutuo (dal 10,5% al 13,6% di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (salite dal 14,8% al 16,4%). Allo stesso modo sale al 40,6% (dal 39,4% del 2008) la quota di famiglie per cui una settimana di ferie in un anno lontano da casa è solo un miraggio. Ma non manca neppure chi, allo stremo, dichiara di non aver avuto avuto almeno una volta nel corso dell'anno soldi per acquistare cibo: la media risulta pari al 5,7% (dal 5,8% del 2008) ma al nord si sale dal 4,4% al 5,3%. E ancora: cala leggermente la quota di famiglie che non può permettersi di riscaldare adeguatamente l'abitazione (10,7% dall'11,2% del 2008), benché - viene rilevato - i prezzi al consumo del gas e dei combustibili liquidi siano diminuiti rispettivamente dell'1,5% e del 20%. Si riduce anche la percentuale di famiglie che riferisce di essere in arretrato con il pagamento del mutuo (dal 7,6% al 6,4%) e con il pagamento dell'affitto (dal 14% al 12,5% del totale in affitto). Scende, infine, dal 17,3% al 15,5% la quota dei nuclei familiari che dichiara di arrivare con "molta difficoltà" a fine mese. L'acquisto degli abiti necessari resta invece difficile per il 17,1% delle famiglie, in calo rispetto al 18,5% dell'anno precedente; per l'8,7% (dall'8,3%) lo sono le spese per i trasporti.

CRISI HA COLPITO LAVORO MA CIG HA FRENATO EMORRAGIA - Il "massiccio ricorso" alla cassa integrazione guadagni ha "contenuto l'effetto della crisi sui posti di lavoro" e ha "frenato, soprattutto nell'industria, l'emorragia occupazionale". Lo rileva l'Istat nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2009, ricordando che lo scorso anno si è registrata la prima caduta dell'occupazione in Italia dal 1995, con una riduzione degli occupati di 380 mila unità (-1,6%), soprattutto tra gli uomini (-2%; donne -1,1%). Il picco del ricorso alla cig è stato segnato nel terzo trimestre del 2009, quando si è passati ad un valore medio del 9,5% nelle imprese con almeno dieci dipendenti. Incremento che si è accompagnato ad una crescita "in misura significativa" delle risorse impiegate e destinate al sostegno di lavoratori e famiglie: per la cassa integrazione guadagni sono aumentate di oltre 1,5 miliardi di euro, per l'indennità di disoccupazione di circa 2 miliardi e di altri 1,5 miliardi per il bonus straordinario per le famiglie a basso reddito. In totale, oltre 5 miliardi di euro in più rispetto al 2008. L'Istat parla, dunque, di due fondamentali ammortizzatori sociali: la cig, che ha mitigato l'impatto sulla perdita di reddito salvaguardando in particolare i capifamiglia, e la famiglia stessa, con i giovani che sono stati in assoluto i più colpiti dalla crisi ma che, proprio per questo, hanno contenuto le ripercussioni sui genitori.

OCCUPAZIONE FEMMINILE PEGGIORA, IN CALO NEL 2009 - Si aggrava la condizione lavorativa delle donne italiane. Con la crisi - afferma l'Istat nel rapporto annuale - le lavoratrici del nostro paese peggiorano una "criticità storica": il loro tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%, oltre 12 punti percentuale in meno della media nell'Ue (58,6%). Fra il 1996 e il 2008, l'occupazione femminile era passata dal 38,2% al 47,2%. Lo scorso anno, questa tendenza si è interrotta registrando un meno 0,6%. Nell'Ue, l'Italia è migliore solo a Malta (37,7%) In particolare, è il Mezzogiorno - che ha assorbito quali la metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne) - a segnare fortemente il passo. In quest'area, per ogni 100 donne occupate nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno 14 sono transitate nella condizione di non occupate (10 nella media italiana). Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è del 30,6% contro il 57,3% del Nord-Est. Si è poi ulteriormente abbassato il tasso di occupazione delle donne con titolo di studio inferiore al diploma di scuola media superiore (solo il 29% delle donne con licenza media ha un'occupazione); nel Mezzogiorno supera di poco il 20%. Solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei, ma non le giovani che invece incontrano difficoltà all'ingresso del mercato del lavoro. La presenza di figli si conferma un deterrente al lavoro: nella fascia 25-54 anni, assumendo come base le donne senza figli, i tassi di occupazione sono inferiori di 4 punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli, di 22 per quelle con tre o più figli. Tale andamento - sottolinea l'Istat - non si riscontro nei principali paesi europei. Sotto la media Ue anche il ricorso al part-time. Lo utilizzano il 28,2% delle italiane contro una media del 28,9% in nella Ue; in Germania è il 46,7%, nel Regno Unito il 37,9%, in Spagna il 21,7%.

IN CALO POPOLAZIONE ATTIVA, -11% ENTRO 2051 - L'Italia si conferma uno dei paesi più vecchi d'Europa e quello con uno dei più bassi indici di natalità. Lo squilibrio generazionale "é tra i più marcati d'Europa". Nei prossimi decenni, la popolazione attiva è destinata a ridursi: si stima che arriverà entro il 2031 a 37,4 milioni ed entro il 2051 a 33,4 milioni. La popolazione in età attiva passerebbe così dal 65,8% di oggi al 54,2% entro il 2051. Nel rapporto annuale dell'Istat, si afferma che la questione demografica "desta grandi preoccupazioni". L'Italia, dopo la Germania, è il paese più anziano d'Europa; risente in particolare di un squilibrio generazionale: il rapporto di dipendenza tra le persone in età inattiva (0-14 anni e 65 anni e più) e quelle in età attiva (15-64 anni) è passato dal 48 al 52% in dieci anni per effetto del peso crescente delle persone anziane (da 27 ogni 100 in età attiva nel 2000 a 31 nel 2009). Il rapporto fra le persone over 65 e quelle in età 0-14 anni (indice di vecchiaia) è di 144. Era 127 nel 2000. Tenuto conto che l'indice di fecondità (1,41 figli per donna; in Italia il tasso di natalità nel 2008 è di 9,6 per mille; sta meglio solo di Austria, 9,3 per mille, e di Germania, 8,3 per mille) risente positivamente della popolazione straniera, per l'Istat questo squilibrio è destinato ad aumentare raggiungendo a metà secolo un indice di vecchiaia di 256 (112 punti in più). Ciò vuol dire - sottolinea ancora l'Istat - che è da considerare prioritario l'investimento nei giovani per assicurare la sostenibilità del paese nel futuro. Fra l'altro, si va verso un aumento della speranza di vita: nel 2050 84,5 anni per gli uomini, 89,5 per le donne. Tra oggi e il 2051 si prevede una diminuzione di circa 400 mila giovani under14 (passeranno dal 14 al 12,9% della popolazione; saranno 7,9 milioni). Mentre gli anziani, dovrebbero raggiungere i 20,3 milioni. Un residente su cinque avrà più di 64 anni. I grandi anziani, oltre gli 85 anni, saranno il 7,8% del totale (4,8 milioni).

CRISI PESANTE PER STRANIERI,CALO OCCUPAZIONE E' DOPPIO - La crisi pesa di più sui lavoratori stranieri che italiani. Il tasso di occupazione dei primi è infatti calata nel 2009 a ritmi doppi rispetto ai secondi. Per gli italiani - rileva il rapporto annuale dell'Istat - infatti il tasso di occupazione (56,9%) è diminuito nel 2009 di oltre un punto percentuale, mentre per gli stranieri la flessione è stata più che doppia (dal 67,1% del 2008 al 64,5% dell'anno scorso). Anche il tasso di disoccupazione, è maggiore per gli stranieri, 2,7 punti (11,2%) in più rispetto a 0,9% degli italiani (7,5%). Per gli stranieri, l'aumento della disoccupazione (+77 mila) e dell'inattività (+113 mila) è avvenuto in presenza di un aumento dell'occupazione (+147 mila), concentrata nelle professioni non qualificate e in quelle operaie, dove la presenza di stranieri è già alta. Per l'Istat, ciò vuol dire che "anche nella crisi, gli immigrati non occupano i posti degli italiani. Continuano a rispondere alla domanda di lavoro non soddisfatta dalla manodopera locale".

FORMAZIONE'CRITICA',4.6 MLN LAVORATORI SOTTOINQUADRATI - La formazione è un capitolo pieno di carenze in Italia. Non riesce ad incidere nell'inclusione sociale; sul conseguimento dei titoli superiori continua a pesare una "forte disuguaglianza" legata alla classe sociale della famiglia di provenienza degli studenti. Ciò - ritiene l'Istat - blocca la mobilità sociale. Un esempio. Nel periodo 2004-2009 la quota di lavoratori diplomati passa dal 44,5% al 46,6% e quella dei laureati dal 14% al 17,2% ma "l'incidenza delle professioni qualificate e tecniche rimane sostanzialmente stabile acuendo il divario fra domanda ed offerta di lavoro degli occupati con medio-alto titolo di studio". Nel 2009, circa 16,5 milioni di occupati (72,4%) svolgono una professione adeguata al livello d' istruzione, 1,7 milioni (7,4%) ha un lavoro relativamente più qualificato mentre il 20,2% (4,6 milioni) è sottoinquadrato. Rispetto al 2004, il fenomeno del sottoinquadramento interessa oltre un milione di persone in più. Quasi la metà dei sottoinquadrati sono giovani, con 15-34 anni; in termini relativi, l'incidenza che svolgono un lavoro non adeguato al proprio livello di istruzione è del 31% (+6,8% rispetto al 2004). Il fenomeno dei sottoinquadrati si registra nei lavori meno tradizionali: il 46,9% degli occupati a termine, il 40,1% di quelli in part time e il 30,5% nelle collaborazioni. In generale, i livelli d'istruzione degli italiani sono "critici". Nel 2009, circa il 10% ha solo la licenza elementare o nessun titolo, il 36,6% la licenza media, il 40% il diploma e il 12,8% la laurea. Il 7,7% degli iscritti alle scuole superiori nel 2008-2009 ha ripetuto l'anno; il 12,2% degli iscritti al primo anno abbandona il percorso di studi, il 3,4% lascia al secondo anno. Nel Mezzogiorno sono del 14,1% e 3,8%. Nel 2009, oltre 1.2 milioni dichiara di non aver letto neanche un libro e di non aver mai utilizzato il pc. La non lettura coinvolge 4 ragazzi su 10; circa il 20% non usa il pc. La propensione alla lettura è condizionata dalla famiglia: i lettori superano il 72% se uno dei due genitori è laureato, se entrambi leggono. Anche l'utilizzo del pc avviene in casa, a scuola coinvolge appena 4 bambini su 10. La posizione dell'Italia poi nell'alta formazione "é distante" da quella di altri importanti paesi europei: nel 2007 hanno conseguito un titolo terziario circa 60 persone ogni mille giovani (20-29 anni), a fronte dei 77 della Francia e di oltre 80 del Regno Unito e della Danimarca. Anche i titoli nelle discipline tecnico-scientifiche collocano l'Italia sotto la media Ue (12,1 a fronte di 13,8 per mille 20-29 anni), poco al di sopra di Spagna e Germania. Il numero dei ricercatori a tempo pieno nelle imprese è salito di appena il 14% tra il 1990 e il 2008, contro il 40% della Germania. Nello stesso periodo, in Francia il numero dei ricercatori è raddoppiato e in Spagna triplicato.

fonte: ansa

:uhhh:
 
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view post Posted on 26/5/2010, 13:17     +1   -1
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Iniziate a ridurre gli stipendi e le spese ai politici e agli statali, e vediamo se siamo più in crisi... io sò certe cose, meglio che non parlo, ho un amico che lavora nel ministero delle difesa, ma i soldi che vengono spese per cazzate varie, voi non avete neanche l' idea... :uhhh:

Edited by zebrone84 - 26/5/2010, 14:46
 
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TerryTerry
view post Posted on 26/5/2010, 13:45     +1   -1




E' una situazione insostenibile. Qua faremo la fine della Grecia tra qualche anno.
 
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