Risarcimenti calciopoli, sentenza tra conflitti e dubbi
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Sul sito della Corte dei Conti sono disponibili le motivazioni della sentenza che condanna gli arbitri e i designatori a pagare i danni per Calciopoli. Oltre cinquanta pagine, la cui lettura lascia qualche dubbio che si aggiunge a quello legato al conflitto di interessi di chi ha giudicato. Un altro caso dell'infinita vicenda che dal 2006 non ha smesso di turbare il calcio italiano. Ma andiamo con ordine e proviamo ad analizzare i punti controversi del caso Corte dei Conti-Arbitri.
1. Il giudice che ha sentenziato è il dott. Ivan De Musso, rispettato e con un gran carriera, ma anche un grande conflitto di interessi. Perché De Musso è anche componente della IV sezione giudicante della Corte di Giustizia Federale della Figc, il cui presidente Mario Serio fu per altro proprio uno dei giudici di Calciopoli. Insomma, non può non saltare agli occhi la stortura: a decidere se arbitri e designatori coinvolti in Calciopoli hanno o meno danneggiato la Federazione è stato chi per la Federazione lavora. Un po' troppo. Forse una ricusazione avrebbe risolto la questione all'origine (se fosse stata posta la questione era difficile respingere l'istanza), ma ora resta - lampante - un conflitto di interesse da parte di chi ha sentenziato.
2. Il giudice De Musso ha condannato al risarcimento anche arbitri assolti nel procedimento penale di Napoli o addirittura non coinvolti nel processo (Gabriele e Babini). Nelle motivazioni si legge - tradotto in parole poverissime - che la Corte dei Conti può entrare nel merito al di là delle assoluzioni in sede penale. E così nel caso di Gabriele, De Musso spiega: «Per il Gabriele, così come è stato ritenuto per altri ufficiali di gara, il possesso e l’uso di schede telefoniche riservate messe a disposizione da un dirigente di una società sportiva significa accettare la costituzione di un rapporto privilegiato contrario alla posizione di terzietà, correttezza e probità che si impone a chi deve garantire la neutralità nello svolgimento delle proprie funzioni. Anche per il Gabriele sono stati accertati numerosi contatti telefonici con Luciano Moggi, segno evidente che tutti coloro che avevano accettato l’uso di utenze telefoniche riservate dallo stesso fornite avevano consolidato l’abitudine di comunicazioni segrete, in violazione perlomeno dell’art. 1, comma 1, CGS e dell’art. 40 del regolamento AIA». Ma se il solo possesso della famigerata sim svizzera basta per condannare al risarcimento, perché Paparesta, utilizzatore pure lui di scheda svizzera (originariamente consegnata al padre), non è stato coinvolto?
3. Perché la Corte dei Conti fosse competente, De Musso, ha argomentato nella sua sentenza in base a sentenze della Cassazione, con la «funzionalizzazione dell’attività del soggetto (anche privato) al perseguimento di finalità pubbliche». Insomma, equipara l'arbitro a un pubblico ufficiale. Il che è un'interpretazione molto estrema, anche perché in sostanza si sostiene che dirigere una partita abbia finalità pubbliche. Ma questo, almeno in parte cozza con il fatto che l’arbitro non è altro che un soggetto che fa applicare un regolamento stabilito da una federazione di natura privatistica. Spingendosi a un paradosso, un'interpretazione altrettanto estrema di questa sentenza potrebbe portare un arbitro davanti alla Corte dei Conti per un clamoroso errore di valutazione che, in fondo, si potrebbe sostenere lede l'immagine della Figc.
Insomma, restano molti dubbi e resta "il" dubbio legato alla commistione fra giustizia sportiva e giustizia "ordinaria". Com'è possibile incontrare gli stessi giudici da una parte e dall'altra, minando la credibilità di certi giudizi? Nella giustizia sportiva ci si trova davanti a giudici nominati dalle stesse federazioni e che perdono, dunque, in nuce la loro terzietà. Se poi, "nell'altra giustizia", ci si trova davanti a giudici che operano anche nello sport, ancora una volta la terzietà viene meno. Poi non ci si può lamentare se continuano ad aleggiare fantasmi e sospetti.
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