Replying to I 70 anni di Claudia Cardinale
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Tony Montana ScarfacePosted: 25/3/2008, 15:21
«Il cinema mi ha dato la vita e non mi fermo. No al lifting: è bello mostrare i segni del tempo»

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PARIGI — «Un’intervista sui miei 70 anni? Non me ne frega niente degli anniversari ». Claudia Cardinale è gentile ma risoluta. Le ricordiamo quando, 20 anni fa, volle riaccompagnare all’ingresso della sua villa il giovane cronista, imbarazzato per la sua 500 ammaccata. «Ma guardi Pasquale». Il regista Pasquale Squitieri avanzava come un panzer, spingendo il cancello col paraurti della Porsche. Claudia sorride. Quell’episodio è il ritratto dell’uomo che ha reso piena la sua vita, restituendole la libertà selvaggia e un po’ folle. Sorride e cambia idea: 70 anni il 15 aprile. È piena di progetti: il remake per la tv francese de I soliti sospetti («Volevo ritrovare Jacques Perrin 46 anni dopo La ragazza con la valigia); Le premier homme di Gianni Amelio da Lo straniero di Camus e Il filo sull’omosessualità; il documentario sui 50 anni della sua carriera, Io, Claudia: storia di un’italiana: l’ha girato Squitieri e andrà al Festival di Cannes. Nessun film del nostro Paese: «Perché appena mettono la macchina da presa, si preoccupano: capisco tutto».

Ci riceve nella sua casa al Marais: i ricordi africani, le icone russe, le foto con Armani, Bolognini, Chirac, i suoi due figli, Patrick (fa il designer) e Claudine, avuta da Squitieri: «Compone musica, suona, dipinge. Se ho un rimpianto, è di non essere abbastanza colta». In soggiorno decine di premi, Berlino, Venezia, i David... Manca solo l’Oscar: le dispiace? «No, ne ho avuti tanti altri».

Da ragazza, in Tunisia dov’è nata, era introversa: «Volevo dimostrare che ero più forte degli uomini, prendevo il treno in corsa quando era già in marcia. Avevo già il problema della mia voce, il timbro rauco era perché non parlavo, non usavo le corde vocali. Fu Fellini a restituirmi la voce non doppiandomi in 8 e ½. Il cinema mi ha salvato la vita, sono riuscita a esprimermi».

Di chi si è sentita rivale? «Quando girai Le Pistolere con Brigitte Bardot c’erano paparazzi da tutto il mondo, convinti che ci saremmo ammazzate. Invece ci siamo divertite come matte. A Tunisi era il mio mito, mi vestivo e pettinavo come lei, la coda di cavallo, le mèches». Dépardieu? «Abbiamo fatto Il clan dei marsigliesi, una delle sue prime apparizioni era già un omone intraprendente. Con Belmondo ho lavorato tanto. È stato parecchio male, gli amici m’hanno sconsigliato d’andarlo a trovare, ci sarebbe rimasto male. Vorrei rivederlo ». La coppia Sarkozy-Bruni? «A Parigi ci hanno bombardati. A Natale ci siamo visti per caso in un ristorante a Roma. Lui è venuto verso di me, mi ha abbracciata. Chiamami. Ma ti pare che mi metto a telefonare al presidente della Repubblica? È fatto così, aperto, va in mezzo alla gente».

Claudia, quanti film? «Novantasei. Sono stata puttana e principessa. Dalla Russia all’Australia, l’Africa, l’America del Nord e del Sud». Se citiamo i suoi registi, lei che non vive di rimpianti, dice uffa o è felice? «Non mi guardo mai indietro ma, per carità, sono stati i miei maestri, anche se l’Italia ha la memoria corta ». Leone: «Ha inventato un modo di girare, la cinepresa sulla pelle degli attori. La musica di Morricone me la faceva sentire per entrare nel personaggio». Fellini: «Diceva che lo ispiravo, sei la mia musa, mi diceva in macchina. Io muta. Mi ha fatto interpretare me stessa, il mio stesso nome». Visconti: «Quando rivedo Rocco e i suoi fratelli o Il Gattopardo con Alain (Delon, ndr), lui si emoziona». Ha superato il brutto periodo? «Sì. Ha sofferto di depressione dopo che era stato lasciato dalla sua compagna. Sta molto meglio. Quei due film mi hanno aperto le porte del mondo». La storia del bustino stretto stretto è vera? «Alain riusciva a cingermi la vita con le mani. La sera piangevo. Nessuno sapeva delle mie ferite sul bacino. Luchino mi ripeteva di non camminare a piccoli passi, dovevo prendere possesso dello spazio: "Sembri una gatta da accarezzare sul divano. Poi ti trasformi in una tigre che doma il domatore". Germi: «Un maledetto imbroglio è uno dei miei primi film. Ci capivamo con lo sguardo».

Emanuelle Bèart ha confessato che rifarsi a 27 anni le labbra è stata la più grande idiozia della sua vita. «Non mi sono mai ritoccata nulla, e sai quante volte me l’hanno chiesto? È così bello vedere i segni del tempo, rifarsi è un segno di fragilità, se non sei forte e non accetti i tuoi anni, meglio che lasci stare». Il suo «no» al nudo: «È più sensuale immaginare. Nei Professionisti il regista Richard Brooks disse a Burt Lancaster di togliermi la camicia. Mi feci fare dalla sarta di Marlene Dietrich un velo sotto. Capì che non c’era niente da fare. In Vaghe stelle dell’Orsa e in C’era una volta il West mi si vede la schiena nuda. Il mio record».

E i grandi rifiuti? «Un musical a New York. Il rifiuto più importante a Strehler: con questa voce, chi mi sente?, pensavo». Come ha cominciato? «In Tunisia, vennero a prendermi davanti scuola. Mio padre, di origini siciliane, figuriamoci... Imprevedibilmente disse sì». Di Franco Cristaldi, il produttore, non parla volentieri. «Avevo un contratto all’americana, in esclusiva, sotto controllo. A me dei soldi non è mai importato nulla. Venivo pagata al mese, a prescindere dagli incassi. Ho vissuto 17 anni così. Con Pasquale ho riscoperto la libertà. Ha una cultura pazzesca ma è napoletano, se vuole, canta e suona». In Italia mica è tanto compreso. «Perché è un rivoluzionario che dice quello che pensa».

La Senna scorre lentamente sotto di noi. «Sono sempre in viaggio, ho gli impegni umanitari contro l’Aids in Africa. E in Africa, con l’acqua davanti, sono nata. A Parigi guardo il fiume dalla finestra. L’acqua è un segno di serenità».